Paura e Delirio a New York – Part II

L’ARDENTE SCENA MUSICALE DELLA GRANDE MELA DEGLI ANNI ’70 Siamo sempre a New York negli anni 70,…

L'ARDENTE SCENA MUSICALE DELLA GRANDE MELA DEGLI ANNI '70

Siamo sempre a New York negli anni 70, un’era di dissolutezza senza precedenti nella storia dell’umanità, che gli appassionati di cinema hanno conosciuto in pellicole di culto quali Il Giustiziere della notte, Taxi Driver, Summer Of Sam o Quel pomeriggio di un giorno da cani. La scena musicale di questi anni è un misto tra il glam-rock britannico, una festa in maschera e una ribellione hard-core contro una contemporaneità deprimente e disarmante. 

E in questi anni di fervori le squallide quattro mura del CBGB si riempiono di inconsapevoli future leggende, tutte mosse dalla stessa voglia di gridare al mondo i tumulti che hanno dentro. 

Tra le tante storie a cui quel palco ha fatto da sfondo, una di quelle che vale la pena raccontare parla di bambole, le Bambole di New York per l’esattezza. I New York Dolls, prendono il nome dal New York Doll Hospital, una bottega che riparava bambole e giocattoli a Manhattan. La band che ha ridato vita al rock’n’roll in un’epoca di classifiche dominate da Elton John, Abba e Emerson Lake & Palmer. Sono il risultato di una collisione frontale tra gli Stones più decadenti e la furia iconoclasta degli Stooges.

 

The New York Dolls

Con il loro look oltraggioso non passano inosservati: capelli lunghi, parrucche, rossetto, collant, hot-pants, zeppe. I New York Dolls giocano sull’ambiguità sessuale come delle vere e proprie drag-queens 

La band si forma nel 1971, intorno al nucleo fondatore, composto da Sylvain Sylvain (chitarra ritmica) e Billy Murcia (batteria) a cui si aggiungeranno Arthur Kane (detto “killer” al basso), David Johansen, un piantagrane di Staten Island alla voce e soprattutto il chitarrista Johnny Genzale, un italo-americano disadattato del Queens entrato nella leggenda con il nome di Johnny Thunders, un uomo chiamato “distruzione”.

Le esplosive esibizioni live cominciano ad attirare l’attenzione dei magnati dell’industria musicale e il 6 novembre 1972 i Dolls aprono il concerto dei Faces a Wembley. Ed è così che quello che poteva essere il trampolino di lancio si tramuta in tragedia la sera stessa dopo il concerto, quando il primo batterista della band, Bill Murcia, muore annegato in una vasca da bagno di un hotel di Londra, stroncato da un cocktail di champagne e Quaalude. Al posto di Murcia, la band scelse Jerry Nolan, membro di una gang di delinquenti il che accelera i tempi del vertiginoso processo di autodistruzione della band. 

Finalmente, nel marzo del 1973 la Mercury Records offre ai Dolls un contratto per due dischi. Il primo album omonimo, registrato in una sola settimana, esce nell’estate del 1973 ed è ancora oggi considerato come uno degli esordi più folgoranti della storia. A causa degli scarsi introiti ricavati dalle vendite del primo album la Mercury licenzia i Dolls nel 1975, quasi subito dopo la pubblicazione del secondo album (Too Much Too Soon). Malcolm McLaren subentra al management. La sua idea di fare esibire la band con abiti in pelle di colore rosso davanti a bandiere con falce e martello è solo l’ultimo dei numerosi momenti di auto-sabotaggio di questa congrega ormai allo sbando, minata all’interno da dissidi artistici, problemi di droga, alcol e conflitti personali.

I New York Dolls estremizzano l’impianto scenico del glam gettando le basi per quello che di lì a poco sarà chiamato punk. Il loro retaggio lo si può trovare anche nell’hard rock americano (Kiss, Aerosmith…) e soprattutto nella scena “hair metal” di metà anni ottanta. Subito dopo la fine dei New York Dolls, Johnny Thunders e Jerry Nolan formano gli Heartbreakers insieme a Walter Lure e Richard Hell. 

 

Television – Photo credits : Bob Grues

Nonostante la breve carriera i New York Dolls sono, con i Ramones, una delle più importanti influenze degli anni ‘70. Nel 1971 Tom Verlaine, Richard Hell e Billy Ficca formano i Neon Boys proprio dopo aver assistito ad un loro concerto. I punti di riferimento sono i gruppi della British Invasion (Stones, Beatles, Yardbirds, Who). Al gruppo si unisce poi la chitarra di Richard Lloyd e i Neon Boys diventano i Television. Le serate al CBGB aumentano come il numero dei loro spettatori; si narra la presenza di un Lou Reed armato di taccuino, con Verlaine sul palco intento a storpiare volontariamente le parole delle canzoni terrorizzato che Lou potesse rubargli le strofe migliori. 

Insieme alla fama della band cresce però anche la tensione tra l’ego di Verlaine e quello di Hell. Verlaine è un virtuoso della chitarra ossessionato da Coltrane, Hell è un animale da palcoscenico che suona il basso in modo rudimentale. Malcolm Mclaren si propone alla band come manager con l’intenzione di sfruttare l’immagine ribelle di Richard Hell e quando Verlaine declina l’offerta a nome della band Hell, deluso, se ne va. Al suo posto arriva Fred Smith e la band trova finalmente l’alchimia perfetta.

 

“Marquee Moon”
Album cover

“Marquee Moon” esce nel febbraio 1977 per la Elektra Records e suona come niente mai uscito prima. Nonostante i favori della critica specializzata, l’album non riesce a sfondare nelle classifiche americane. Il vertiginoso dialogo tra la Fender Jaguar di Verlaine e la Telecaster di Lloyd unito all’interplay dinamico tra il basso pulsante di Fred Smith e il drumming jazzistico di Billy Ficca portano la musica rock in territori inesplorati. Come tutte le opere d’arte, Marquee Moon è però un unicum a cui è difficile dare un seguito. 

La parabola dei Television termina poco dopo l’uscita del secondo album “Adventure”, quando Tom Verlaine decide di sciogliere il gruppo per dedicarsi alla sua carriera solista. Ancora oggi “Marquee Moon” compare nelle classifiche dei migliori dischi della storia del rock. 

 

Photo credits : Michale Ochs Archive Cobis

Ma facciamo un passo indietro perché prima di unirsi ai Television, il bassista Fred Smith accompagna sullo stesso palco fetido del CBGB una giovane Debbie Harry. Proprio come Patti Smith, Deborah Harry cresce nei sobborghi del New Jersey. Nasce col nome di Angela Trimble a Miami, in Florida, il 1º luglio 1945, abbandonata dalla madre biologica, viene adottata dai coniugi Richard e Catherine Harry. A vent’anni si trasferisce a New York e si mantiene lavorando come estetista, cameriera del Club di Playboy (per il quale poserà da Coniglietta) e del Max’s Kansas City. Alla fine degli anni ’60, Debbie inizia la sua carriera musicale come corista per il gruppo folk rock The Wind in the Willows, che pubblicò un album omonimo nel 1968, niente di memorabile. Nel 1973, Harry si unisce agli Stilettoes, un gruppo transitorio a metà strada tra rock e cabaret che non pubblicherà mai niente ma dove conoscerà il chitarrista Chris Stein, suo futuro compagno di vita e con il quale fonderà i Blondie & The Banzai Babes, poi solo Blondie.

La band divenne rapidamente una presenza fissa al Max’s Kansas City e al CBGB. Dopo una serie di sostituzioni, la formazione si assesta con l’arrivo di Clem Burke alla batteria, Gary Valentine al basso e Jimmy Destri alle tastiere.

Il primo album omonimo esce alla fine del 1976. Il suono dei Blondie è power pop, un’esplorazione giocosa del pop anni Sessanta intrecciata con il nichilismo tanto di moda in quel periodo. Canzoncine innocenti (non melense) che richiamano alla mente qualcosa di già sentito e che si insinuano velocemente nella mente di chi le ascolta. Quell’album sarà il trampolino di lancio di una carriera fatta di successi e hit internazionali.

La forza del gruppo sta chiaramente nell’immagine dinamica e sensuale di Debbie Harry; un’icona della moda, un feticcio sessuale dal carisma e dal fascino rock’n’roll. Se chiedete a Iggy Pop che cos’è la musica pop, lui vi risponderà: Blondie.

Era difficile concentrarsi al CBGB perché puzzava così tanto. Hilly Kristal, il proprietario, teneva i cani dietro al bancone e loro vomitavano e cagavano indiscriminatamente. La cucina era ricoperta di grasso, topi, mosche e vermi.

Debbie Harry – Blondie

E in questo teatro di decadenza e fetore dove si scrive la storia del rock, la probabilità di ritrovarsi coinvolti in una rissa è quanto mai alta, soprattutto dopo un concerto dei Suicide, nessuno meglio di loro ha forse saputo rappresentare in musica quel momento.

Alan Vega (vero nome Alan Bermowitz) e Martin Rev (vero nome Martin Reverby), entrambi newyorkesi di nascita, si incontrano nel 1971 al Project of Living Artists di Green Street a SoHo, uno spazio-laboratorio per artisti, e decidono di formare una band. L’attrezzatura del duo consiste in una pila di cianfrusaglie elettroniche, un organo elettrico Farfisa, una drum-machine e una radiolina che produce feedback. La voce di Vega e le tastiere di Rev vengono filtrate insieme dentro ad un delay a pedale portato a distorsione. Il risultato che ne viene fuori è terrificante.

 

Suicide – Photo credits : Ebet Robert

Ogni esibizione dei Suicide rischia di degenerare in rissa da un momento all’altro. Alan Vega vestito di cuoio borchiato, è solito brandire la catena di una motocicletta come una frusta. Spesso usa un coltello a serramanico per infliggersi ferite sul volto e sul corpo, a volte getta il drink addosso agli spettatori (a Bruxelles viene addirittura lanciata un’ascia sul palco sfiorando Vega). Tutto questo mentre Martin Rev continua a martoriare il suo sintetizzatore (definito da lui “rombo di turbina”) a dei volumi non sopportabili per l’orecchio umano.

Il primo album omonimo “Suicide” esce nel 1976. Il disco è un incubo notturno metropolitano senza precedenti. Il ritmo ripetitivo della drum-machine e i riff alienanti delle tastiere fanno da sottofondo alla voce psicotica di Vega che come un Elvis sotto effetto di acidi alterna sussurri e grida improvvise, in narrazioni underground di storie torbide tra macchine, sesso e disagio.

Il suono dei Suicide influenzerà il synth pop, la techno e l’industrial dance degli anni ottanta. Soprattutto servirà anche da ispirazione a Bruce Springsteen che con l’album “Nebraska” cercherà con modi e mezzi diversi di ricreare l’atmosfera cupa di quell’album. All’epoca l’album viene stroncato dalla critica. Oggi è considerato uno dei grandi classici “maledetti” del rock.

Nessuna musica di quegli anni sa riflettere la paura e la nevrosi metropolitana meglio di quella dei Suicide.

E mentre al CBGB si scrive la storia degli albori del rock e del punk, nello stesso momento la scena musicale Newyorkese è più viva che mai. Kool Herc, Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash infiammavano gli street party incollando frammenti di vinile. A downtown, David Mancuso e Nicky Siano stavano inventando la disco moderna e la club culture; ad Uptown invece Eddie Palmieri, Willie Colòn e i Fania All-Stars facevano impazzire per le comunità ispaniche di Harlem e del South Bronx con una salsa multiculturale a base di musica cubana.

Come scrive Will Hermes nel libro che ha ispirato questo articolo:

 Sono proprio le condizioni peggiori, talvolta a produrre la bellezza più intensa

e i cambiamenti più radicali.

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Alberto Pani

Blogger

Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia