Festival Express : Il treno della felicità
Il Transcontinental Pop Festival, il treno più folle del mondo, la più lunga jam session della storia…
Il Transcontinental Pop Festival, il treno più folle del mondo, la più lunga jam session della storia del rock e l'"ultima fermata" del movimento hippie.
Nell’estate del 1970 nasceva una manifestazione senza precedenti che, invece di diventare il primo modello da rinnovare nel tempo, rimane ancora oggi l’unico esempio di festival itinerante a bordo di un treno, soprattutto in un momento storico in cui, attraverso la musica, tutto sembrava possibile.
I promoter Thor e George Eaton, e il loro amico Ken Walker, decisero di organizzare un festival in Canada, il “Transcontinental Pop Festival”, che si sarebbe svolto in tre tappe: Toronto, Winnipeg e Calgary (inizialmente erano previste anche le esibizioni di Montreal e Vancouver).
Janis Joplin, Grateful Dead, Flyng Burrito Brothers, The Band, Buddy Guy, Sha Na Na, Traffic, Ten Years After e Delaney&Bonnie sono solo alcuni dei sedici artisti che parteciparono, chi anche solo in parte, alla manifestazione. Un cast stellare, un altro, a nemmeno un anno di distanza da Woodstock.
L’idea originale e inedita dei promoter fu quella di non utilizzare aerei per i trasferimenti degli artisti, ma di affittare quattordici vagoni delle ferrovie nazionali canadesi per arrivare alle varie città e per ospitare le star e la loro crew: un normale treno che si trasformava così nel teatro di una delle ultime vere espressioni artistiche del movimento Peace&Love. C’erano vagoni letto, bar, ristorante, zona lounge e prese elettriche in quantità per strumenti e amplificatori, cosicché il treno stesso, durante il viaggio tra una città e l’altra, potesse diventare il palcoscenico di trascinanti e rarissime jam session, la maggior parte delle quali non ha lasciato traccia e solo chi ha viaggiato dentro quei vagoni ha potuto goderne.
C’era il vagone del Blues, quello del Folk e quello del Rock, 24 ore su 24: chiunque poteva entrare e unirsi alla jam oppure semplicemente starsene ad ascoltare. Mai era capitato prima che i musicisti, nonostante la stanchezza dovuta al tour de force, si potessero ritrovare a condividere tra loro le proprie esperienze, la propria musica e la propria vita, uno accanto all’altro per dieci giorni, dividendosi i palchi nelle città e i divanetti nei vagoni.
Bob Weir, cantante e chitarrista dei Grateful Dead, disse: «In genere, durante un festival, l’unico momento in cui riuscivi a stare insieme ad altri musicisti era quando dovevi salire sul palco. Loro scendevano e tu salivi. Qualche scambio di battute sulla qualità del service e sulla risposta del pubblico e via. Su quel treno, invece, sarebbero potuti nascere decine di album.»
Mickey Hart, batterista dei Grateful Dead, ammise invece: «Woodstock fu una sorta di medicina generazionale per il pubblico, quel treno fu una medicina per noi artisti.»
Purtroppo, già dopo la prima data, Walker e gli Eaton capirono di dover abbandonare l’idea di un’esperienza che, oltre a elargire buona musica e buone sensazioni, avrebbe dovuto portare anche soldi nelle proprie tasche: il progetto si rivelò un vero e proprio disastro finanziario.
Una volta scesi a Toronto, si ritrovarono in mezzo a una sorta di rivolta popolare nella quale la maggior parte del pubblico si era presentata ai cancelli senza biglietto protestando contro il costo dei concerti. Più in generale, stava nascendo la convinzione che la musica dovesse essere gratis. Gli organizzatori furono ancora una volta a dir poco originali: decisero di allestire un secondo palco al di fuori dell’area prevista per il concerto – palco nel quale le varie band avrebbero potuto suonare anche per chi fosse senza biglietto.
Fu scelto Gerry Garcia, chitarrista dei Greateful Dead, per dare l’annuncio: «La situazione stava degenerando. L’organizzazione pagava ventisettemila dollari al giorno per il servizio di sicurezza, ma non era possibile fermare la gente. Quindi decidemmo di fare un concerto gratuito e le proteste si placarono immediatamente. Scendevi da un palco, salivi su una macchina e ricominciavi dall’altra parte. Eravamo già lì, non ci costava nulla.»
I promoter, ripartendo poi per Winnipeg, realizzarono che non sarebbero mai riusciti a evitare la bancarotta, anche tagliando i costi, e decisero quindi di esagerare proseguendo il viaggio ‘senza freni’: aggiunsero un servizio di ristorazione notturno e fecero fermare il treno per il rifornimento alcolico quando le scorte finivano.
Tra le esibizioni, davvero tutte molto interessanti, meritano una menzione particolare i Grateful Dead che suonano le versioni semiacustiche dei loro brani, i The Band più in forma che mai nelle cover di Little Richard e di Bob Dylan, i Flying Burrito Bros con il loro secondo album appena uscito mentre cantano i loro ‘Giorni Pigri’, la leggenda vivente Buddy Guy, che incendia il palco con travolgenti scariche elettriche di adrenalina, e Janis Joplin che brilla più che mai per personalità e intensità e che ci lascia così la sua ultima performance prima di essere ritrovata morta per overdose solo quattro mesi dopo.
Di questa esperienza collettiva così unica e preziosa non ci sarebbe rimasto molto se non fosse stato per un ritrovamento speciale: all’inizio del 2000 Gravin Poolman – figlio dell’allora produttore Willem Poolman – ritrovò nel vecchio garage di famiglia le bobine delle riprese originali di quei momenti storici e le consegnò a Bob Smeaton (Grammy per “The Beatles Anthology”) e al produttore musicale Eddie Kramer (Jimi Hendrix e Led Zeppelin, tra gli altri): fu così che nacque nel 2003 l’imperdibile documentario “Festival Express” (del quale consiglio vivamente la visione a tutti voi).
Un documentario come pietra miliare della storia del rock americano, dal valore inestimabile, che racconta una storia unica fatta di sogni, di viaggi, di amicizie più o meno fugaci e di un pizzico di follia; il tutto vissuto da decine di anime alle quali importava solo una cosa: condividere la propria passione, la musica.
Simone Berrettini