Le 10+1 migliori intro dagli anni ’90 ad oggi
È quasi sempre una chitarra, a volte due. Spesso una batteria o un basso. Altre volte delle…
È quasi sempre una chitarra, a volte due. Spesso una batteria o un basso. Altre volte delle tastiere o addirittura un violino. Raramente sono un insieme di suoni indefiniti o non provenienti da strumenti musicali.
Se non sono necessari più di 3-4 secondi per azzeccare la canzone dal momento in cui si schiaccia play, allora si tratta sicuramente di una di quelle storiche canzoni indimenticabili, ma soprattutto di una di quelle intro inconfondibili e caratteristiche che rendono la canzone riconoscibile all’istante.
Nella storia delle musica, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, sono davvero numerose le canzoni che si sono guadagnate lo scettro per la miglior intro, inteso come quella magia che ha permesso loro di inserirsi in modo permanente nella nostra società e nella testa di ognuno di noi: pochissimi secondi per identificare melodia e artista, pochissimi secondi e affiorano alla mente ricordi, emozioni, vita vissuta.
Canzoni perfette? Forse. Canzoni per tutti? Forse. Canzoni di tutti? Sicuramente.
È un potere strano e prezioso quello della musica, si sa, ma le seguenti canzoni hanno in particolare il merito, grazie soprattutto, appunto, alle loro intro, di essere amate e riconosciute subito da tutti: entrano di diritto e universalmente nel tessuto sociale della vita di miliardi di persone.
Sono canzoni magiche: giusto una manciata di secondi e chiunque (proprio chiunque) è in grado di capire di quale brano si tratti, ma ad un orecchio un po’ più fine e allenato può bastare anche un solo secondo affinché la canzone si manifesti in tutta la sua immortalità. Incredibile. E non è tanto questione di bravura dell’ascoltatore, il merito va tutto alla canzone stessa, alla melodia che rapisce, al testo che entra nel cuore: capita così che a volte siano sufficienti le prime note del brano per far sì che questo si imprima per sempre nella vita delle persone.
Sarebbe stato troppo difficile scegliere solo dieci brani con la propria magica intro, data la quantità di melodie scritte negli ultimi settanta anni – sono in particolare quelle nate tra gli anni ’60 e gli 80′ a essere probabilmente le più note e anche le più dibattute. È per questo che ho provato a stilare una personale classifica di 11 canzoni un po’ meno prevedibili, si fa per dire ovviamente, dagli anni ’90 ad oggi.
Non posso cominciare, però, se prima non elenco in ordine sparso quelle che ritengo siano le più grandi di tutte (nate prima degli anni ’90), con le loro intro storiche, geniali e immortali.
E voi in quanti secondi le indovinate?
Layla – Derek and the Dominos (1970)
Smoke On The Water – Deep Purple (1973)
Whole Lotta Love – Led Zeppelin (1969)
Purple Haze – Jimi Hendrix (1967)
Sweet Child O’ Mine – Guns N’ Roses (1987)
Johnny B. Goode – Chuck Berry (1958)
Baba O’Riley – The Who (1971)
Thunderstruck – AC/DC (1990)
Come Together – The Beatles (1969)
Under Pressure – Queen & David Bowie (1981)
Another One Bites The Dust – Queen (1980)
Surfin’ USA – The Beach Boys (1963)
Sweet Home Alabama – Lynyrd Skynyrd (1974)
Eye Of The Tiger – Survivor (1982)
(I can’t get no) Satisfaction – The Rolling Stones (1965)
Billie Jean – Michael Jackson (1982)
Walk This Way – Aerosmith (1975)
Money – Pink Floyd (1973)
Born To Run – Bruce Springsteen (1975)
Like A Rolling Stone – Bob Dylan (1965)
La classifica seguente è rigorosamente stilata in base alla quantità di tempo (secondi, istanti) necessario per capire di che brano si tratti.
Siete curiosi di scoprire chi c’è al primo posto? Arriviamo fino in fondo…
11. Every You Every Me – Placebo (1998)
Forse sono necessari almeno 4-5 secondi, ma poi non c’è dubbio: è un riff molto poco morbido, un po’ sconcertante e oscuro, è un riff della chitarra dei Placebo. La band britannica che ha saputo unire in un unico genere tre correnti musicali diverse (glam-rock, post-punk, garage) nel 1998 pubblicava il suo secondo album, Without You I’m Nothing, che, non solo conteneva già il peculiare sound dallo spirito negativista e pessimista tipico di Molko e compagni, ma si tramutò anche nel primo vero successo commerciale attraverso singoli importanti come Pure Morning, ma soprattutto Every You Every Me, tutt’oggi probabilmente il brano più noto e più amato tra i fan.
Si tratta di una sorta di anti-love song in cui si parla della dinamica e dei cliché abitudinari che ci sono all’interno di una coppia e di come sia impossibile trovare l’equilibrio tra personalità diverse. Alla fine dell’ascolto se ne esce un po’ rattristati, quasi feriti.
10. Killing In The Name – Rage Against The Machine (1991)
Quattro plettrate libere di chitarra con lo stesso accordo, scandite ognuna dalla grancassa della batteria e dai suoi piatti: è così che inizia questo brano grandioso, potente, epico.
Diciamoci la verità: per riconoscere il brano un orecchio più distratto probabilmente avrà bisogno di arrivare al secondo numero 9, aiutato dall’attacco inconfondibile del basso. Però sono certo che per i fan di questa granitica band statunitense basterà la prima delle quattro plettrate per capire che si tratta del capolavoro dentro al capolavoro.
Sì, perchè il gruppo viene formato nel 1991 da Tom Morello e Zack de la Rocha, e sempre nello stesso anno pubblica il primo album Rage Against The Machine: è qualcosa di nuovo, un suono trascinante e vivo più che mai, un suono mai sentito prima che farà da spartiacque nel mondo della musica “pesante” riuscendo a unire energici riff chitarristici a parti cantate prevalentemente hip-hop. All’interno dell’album, premiato con tre dischi di platino, è presente il brano omonimo che nient’altro è che un immortale e poderoso urlo di protesta contro la disuguaglianza etnica, la sottomissione, l’ipocrisia, il capitalismo e la globalizzazione, gli stessi temi trattati per tutta la durata dell’album stesso.
Una canzone, e un disco, che rappresentano, a prescindere dalla condivisione politica o meno dei testi, l’apice compositivo del genere alternative-crossover.
9. Teardrop – Massive Attack (1998)
Un loop di batteria come un battito cardiaco, accompagnata dal fascinoso fruscio tipico dei vinili, poi un clavicembalo in lontananza che si fa sempre più definito e, infine, la melodia del delicato pianoforte: è questa l’ipnotica intro di Teardrop, iconico brano che portò i Massive Attack ai culmini della propria notorietà verso la fine degli anni ’90.
L'”anomalo” gruppo britannico, formatosi nel 1987, è ritenuto fondatore del genere Trip Hop, e nasce come un progetto musicale che si avvale da sempre di collaborazioni con svariati artisti. La voce di questo brano è quella di Elisabeth Fraser (Cocteau Twins): la cantautrice scozzese ha scritto questo testo, dedicato alla sofferenza, facendosi ispirare dalla morte dell’amico Jeff Buckley, con il quale stava portando avanti una relazione. Una lacrima per provare a spengere il fuoco del dolore e dei tormenti interiori. Un montaggio strumentale del brano corrisponde alla sigla di apertura della nota serie TV Dr.House – Medical Division.
Di seguito il meraviglioso videoclip della canzone: un feto in grembo materno che canta il testo.
8. Iris – Goo Goo Dolls (1998)
SI minore, LA, SOL: ma sono abbastanza sicuro che in questo caso, per la maggior parte di voi, potrebbero bastare i primi due accordi, i primi due secondi, prima del SOL, per capire che quella è la chitarra della canzone che ha fatto innamorare chissà quante persone: “Iris”.
Gli americani Goo Goo Dolls, capitanati da John Rzeznik, con il loro (pop)rock alternativo, nacquero alla fine degli anni ’80 ma vissero nell’anonimato fino alla metà degli anni ’90. Poi John venne contattato per scrivere una canzone per la colonna sonora del noto film “City of Angels” (1998), ed è così che la band si fece conoscere con clamoroso successo al mondo grazie proprio a “Iris” e all’album che la includeva, “Dizzy Up The Girl“.
I Goo Goo Dolls sbaragliarono la concorrenza di colleghi più illustri che parteciparono alla colonna sonora del film: Alanis Morissette e U2, per esempio. Avrebbero vinto anche il Grammy del 1999, se solo quell’anno Celine Dion non avesse vinto praticamente tutto con la sua “My Heart Will Go On“.
Il testo riflette la trama del film: un angelo che si innamora di una ragazza che però non può vederlo, un angelo che si meraviglia di quanto lei sia così pura e bella, tanto da sembrargli più vicina al paradiso di quanto non lo sia lui stesso: «And I’d give up forever to touch you ‘cause I know that you feel me somehow, you’re the closest to heaven that I’ll ever be and I don’t want to go home right now…»
7. Dakota – Stereophonics (2005)
Quanto poco tempo ci vuole per riconoscere queste inconfondibili tastiere che sembrano illuminare con fasci di colori accesi una stanza buia? È così che inizia “Dakota”, splendido singolo della band gallese estratto dal quinto album “Language. Sex. Violence. Other?”.
Questa è probabilmente anche la canzone di maggior successo degli Stereophonics, gruppo rock alternativo che raramente ha sbagliato un colpo e che suona in modo impeccabile (chi ha avuto la fortuna di ascoltarli dal vivo lo sa); come se non bastasse la graffiante e suadente voce del leader Kelly Jones è davvero un regalo azzeccato per l’ascoltatore.
“Dakota” (che oltre a essere il nome di uno stato americano, era anche il nome del palazzo in cui alloggiava John Lennon a N.Y. fino al giorno del suo assassinio) è un nostalgico e melodico brano ben ritmato e ricco di riverbero: un salto nei ricordi di una storia ormai finita, in un presente triste e solitario e con un futuro incerto.
P.S.: qualche appassionato di videogiochi si ricorderà del pezzo perché era presente in FIFA Manager 2006 e in Pro Evolution Soccer 2010.
6. Mr. Brightside – The Killers (2003)
Nel 2001 il chitarrista Dave Keuning stava cercando dei musicisti per formare una band. Rispose all’annuncio il cantante Brandon Flowers, appena scaricato dai Blush Response: è così che nascono i The Killers. “Mr. Brightside” è il primo brano mai pubblicato da questa band alternative-rock e si tratta di un pezzo unico nel suo genere, una canzone che entrerà nella classifica UK top100 nel 2004 e non la lascerà per 14 (sì: quattordici) anni.
La versione che conosciamo è l’originale take “di prova” incisa nel 2001 e pubblicata nel 2003: nonostante il tentativo dei produttori di correggerne il sound, la naturalezza e la spontaneità alla fine vinsero sulla perfezione della tecnica ricercata.
È un brano contagioso, immediato, che fa ballare e che fa gridare quel ritornello decretato come il terzo “più esplosivo” di tutti i tempi dalla rivista «New Musical Express». Quel riff di chitarra lo abbiamo sentito un sacco di volte, anche nelle discoteche, e quando arriva la voce di Brandon, insieme alla batteria, non possiamo che aspettare con impazienza di cantare tutti insieme: «..and I just can’t look, it’s killing me and taking control..Jealousy, turning saints into the sea..».
Il testo parla della gelosia e del prezzo che essa porta con sé, di come un solo bacio possa far sprofondare l’innamorato dentro paure e insicurezze. Di recente è stata certificata come la prima canzone degli anni 2000 a superare il miliardo di streaming su tutte le piattaforme di ascolto
5. Good Riddance (Time Of Your Life) – Green Day (1997)
Quel SOL che non parte, che per ben due volte fa interrompere Billie Joe Armstrong fino a farlo imprecare: «Fuck!». La terza è quella buona, il riff è ok e comincia la melodia di una dolce e insolita ballata acustica, il piccolo grande capolavoro dei Green Day.
Una chitarra acustica, alcuni violini e un contrabbasso in sottofondo per questa ballad dai toni intimi e introspettivi: Billie la scrisse dopo una delusione d’amore, le parole invitano a cogliere i momenti più belli della propria vita e a ricordarli per sempre.
“Good Riddance (Time of your life)” È inclusa nel quinto album della band, Nimrod, tanto semplice quanto bella, 2 minuti e 33 secondi che bastano per emozionare e mettere i brividi.
4. Alive – Pearl Jam (1991)
Per questo fantastico pezzo ne sono certo: non ci vorranno più di 2 secondi a tutti i fan dei PJ per indovinare uno dei loro brani simbolo, “Alive“. È un canto di libertà e lo si capisce fin dal primo attacco di chitarra: un accordo di LA che sa di potenza, di grandiosità, di VITA.
Un giro di chitarra che si mantiene per tutto il brano e il cui merito, come quello dell’intera canzone e di numerosi altri brani di successo della band, va al chitarrista Stone Gossard. Il testo fu scritto da Eddie Vedder, si tratta di un testo autobiografico che riporta la tragica scoperta della morte del suo padre naturale – la madre per anni gli tenne nascosta la vera identità del padre.
“Alive” è estratto da “Ten”, il primo disco dei Pearl Jam, e, proprio come tutti gli altri pezzi dell’album, suona come qualcosa di mai sentito veramente prima, qualcosa di trascinante, di sostanzioso – qualcosa a metà tra gli Who, i Led Zeppelin e i Lynyrd Skynyrd – con testi amari, duri e sofferti, vicinissimi alla penna del “precursore” della scena grunge Neil Young.
Una canzone meravigliosa in a un album immortale
3. Bitter Sweet Symphony – The Verve (1997)
Anche se inizialmente sembra solo un tappeto musicale di comuni archi, noi tutti già lo sappiamo che dopo 10 secondi sentiremo entrare altri archi e sentiremo in lontananza tipica melodia di questo brano geniale. E sappiamo anche che vedremo all’istante davanti ai nostri occhi le immagini di Richard Ashcroft che cammina su un marciapiede londinese senza mai spostarsi, urtando chiunque incontri per la sua strada. È tutto normale, funziona così: con questo iconico brano (e grazie al relativo videoclip) i The Verve, uno dei principali gruppi nella scena del britpop, raggiunsero l’apice della loro fama e pubblicarono il loro terzo fortunato album “Urban Hymns”.
Forse però non tutti sanno che il famoso tema melodico nient’altro è che un campionamento della versione orchestrale di “The Last Time“, un brano dei Rolling Stones del 1965 riarrangiato dalla Andrew Oldham Orchestra; e forse non tutti sanno che l’utilizzo di suddetto sample non risultò alla fine essere autorizzato e che i The Verve finirono in tribunale per aver violato le norme sui diritti d’autore e dovettero pagare il 100% delle royalties: solo nell’aprile del 2019 Mick Jagger e Keith Richards rinunciarono ai diritti sulla canzone.
La rivista «Rolling Stone» l’ha classificata al 382° posto nella lista delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi.
«Cause it’s a bittersweet symphony this life trying to make ends meet, you’re a slave to the money then you die. I’ll take you down the only road I’ve ever been down you know the one that takes you to the places where all the veins meet, yeah»
2. Learn To Fly – Foo Fighters (1999)
Un colpo di batteria e la chitarra elettrica che entra vibrante e liberatoria come non mai: sono questi i primissimi secondi di quella che è forse la canzone più rappresentativa dei Foo Fighters. Impossibile non riconoscerla subito. E che dire di questo brano dal sound così gioioso e positivo e con il suo video così spassoso e divertente?
“Learn to Fly“ è una vera chicca, non solo per gli amanti dei FF, un sano rock alternativo figlio degli anni ’90 che è rimasto impresso e salvato nelle playlist di tutti noi.
La morale di questo testo per Dave Grohl è un po’ questa: arriva un momento nella vita di ognuno di noi in cui ci sentiamo persi, alla ricerca di un segno di vita nel cielo, ma con coraggio e forza di volontà si potrà spiccare il volo e ritrovare la strada verso casa.
Il videoclip è un must, impossibile da dimenticare e assolutamente da vedere: durante un volo in aereo, i passeggeri, lo staff e i piloti bevono a loro insaputa del caffè dentro al quale ci è stata nascosta una bustina di una sostanza che provoca allucinazioni e strani comportamenti (tutti i partecipanti al volo sono interpretati in modo esilarante dai tre componenti della band). Alla fine i veri Foo Fighters, anch’essi a bordo del volo, dovranno prendere in mano la situazione e far atterrare l’aereo al posto dei piloti.
«…make my way back home when I learn to fly (high)…»
1. Song 2 – Blur (1997)
Sarà perchè bastava accendere la radio in qualsiasi momento della giornata per ascoltare molto probabilmente quell’iconico “woo hoo!”, sarà perchè il videoclip veniva trasmesso almeno 3 volte al giorno, sarà perchè l’abbiamo ascoltato chissà quante volte mentre giocavamo a FIFA: Road to World Cup 98, ma questo grande classico dei Blur lo possiamo riconoscere ai primi colpi di batteria, alla prima battuta di grancassa. Fa parte della nostra storia, entra di diritto nel nostro vissuto.
Singolo estratto dal quinto album “Blur”, si distinse per la presenza di sonorità mai proposte prima dalla band, originariamente vera esponente del britpop, assecondando le volontà del chitarrista Graham Coxon: nacque, così, questo sound più cattivo e distorto, una vera esplosione rock concentrata in 2 minuti e 2 secondi che rischia di far pogare all’istante.
La canzone fu presentata per la prima volta dal vivo nel 1996 a Dublino. Damon Albarn disse: «Questa si chiama Song 2 perchè ancora non le abbiamo dato un nome». Tutti sappiamo che quello rimase il titolo definitivo.
La rivista «New Musical Express» l’ha insignita del sesto ritornello più esplosivo di tutti i tempi. Una scarica di adrenalina che dura due minuti, ma che in realtà dura per sempre.
Fuori Classifica:
– Smells Like Teen Spirit – Nirvana (1991)
– Under The Bridge – Red Hot Chili Peppers (1992)
– Wonderwall – Oasis (1995)
– Seven Nation Army – The White Stripes (2003)
Ma per non perdervene neanche una ecco la playlist Spotify con le migliori intro di sempre. Voi con quante la indovinate?
Simone Berrettini