Tom Meighan tra rinascita e rivalsa
E’ uscito proprio questa settimana “Put Your Foot Down“, il primo EP di Tom Meighan, l’ex co-frontman dei Kasabian (insieme…
E’ uscito proprio questa settimana “Put Your Foot Down“, il primo EP di Tom Meighan, l’ex co-frontman dei Kasabian (insieme a Sergio Pizzorno) che nel 2022 è tornato sulle scene con i suoi primi lavori da solista.
L’EP, di fatto, è una piccola mossa commerciale natalizia, che approfitta del periodo e della piccola tranche di tour appena conclusa nel Regno Unito per chiudere l’anno di Tom, e che anticipa quello che molto probabilmente sentiremo nell’album di debutto, “The Reckoning“, appena annunciato e atteso per la prossima primavera.
“Put Your Foot Down” contiene due inediti: la title track, il pezzo più convincente, e la ballata “On for Life“, a cui si aggiungono il recente singolo “Shout it Out“, e i remix di “Let it ride“, un altro dei singoli usciti nel corso dell’anno. Sebbene la già citata “Put Your Foot Down” offra spunti piuttosto interessanti – con una melodia orecchiabile, una batteria accelerata e la giusta carica di kasabica memoria che sconfina anche dalle parti dei Placebo – è ancora troppo poco per valutare adeguatamente questi primi passi da solista. Ma, si sa, dicembre è mese di bilanci, e certamente questa manciata di canzoni ci offre un buon gancio per ripercorrere l’ultimo anno di questo artista, il primo in studio e in tour dopo un biennio quantomeno meno travagliato e difficile.
Nel corso del 2022, infatti, Tom Meighan è tornato in sala prove e sul palco, pubblicando diversi singoli ed esibendosi nelle sue prime date live, per il momento solo in UK. Rispetto alla prima canzone della sua nuova carriera lontano dai Kasabian (l’amara “Would you mind?”, pubblicata a fine 2021, che emanava sofferenza da tutti i pori per l’allontanamento e la fine dell’amicizia con Sergio Pizzorno), i pezzi usciti in questi mesi segnano un cambio di passo, soprattutto in termini di approccio e contenuto: la tristezza e il dolore lasciano spazio alla voglia di ripartenza e, perché no, di rivalsa.
“Out of this world“, “Movin On“, “Let it ride“, “Shout it out“: pezzo dopo pezzo, Tom Meighan ha tenuto a ribadire il concetto di rivincita personale e artistica che insegue dopo quel fatidico giorno del 2020.
Perché è da lì che finisce e riparte tutto.
Facciamo un veloce passo indietro: è aprile 2020, il mondo è in pieno lockdown.
Tutti ricordiamo bene cosa abbia significato trovarsi a vivere in casa 24 ore su 24, con una serie di limitazioni alla nostra libertà che non avevamo mai sperimentato prima. Personalmente, mi sono spesso domandata cosa debba aver significato per gli artisti di fama internazionale, abituati ad alternare viaggi per il mondo e continui cambi di hotel a sessioni di registrazione e tour promozionali, trovarsi improvvisamente a vivere in casa per mesi, perdendo contatto con una parte così rilevante e particolare della propria vita. Indubbiamente, ognuno ha affrontato questo momento a modo suo: c’è chi nella pandemia è riuscito a scrivere e comporre, chi ne ha approfittato per dedicare più tempo alle cose e alle persone che ama e, infine, c’è chi ha sofferto e patito i colpi inflitti dall’isolamento e dalla convivenza forzata. Tom Meighan, appesantito dalla dipendenza dall’alcool, è stato uno di questi.
Così, una brutta lite con la compagna (oggi moglie) Vikki sfocia in uno scontro: parte la denuncia alla polizia per violenza domestica e, conseguentemente, il processo e l’inevitabile allontanamento dalla band. Doloroso, freddo, ma inappuntabile: “I Kasabian non possono accettare in alcun modo la condanna per aggressione di Tom“, cita l’annuncio apparso sui social il giorno stesso della pubblicazione della sentenza.
Da lì, iniziano due storie completamente diverse: da un lato ci sono i Kasabian, invariati nel resto della formazione, e che, seppur con un profilo più discreto, continuano le pubblicazioni e i concerti – come abbiamo già raccontato nella nostra recensione del loro concerto a Lucca – e, dall’altra, Tom, alle prese col processo, la rehab, l’assenza.
C’è voluto più di un anno, infatti, perché Tom Meighan ricominciasse ad apparire, in studio, nelle interviste, sul palco; e ce ne sono voluti quasi due perché cominciasse ad affrontare più liberamente il tema della sua caduta e della divisione dalla band, fornendo la sua versione dei fatti, senza lesinare accuse di protagonismo a Sergio Pizzorno e di prolungati atteggiamenti ostili nei suoi confronti al resto della band.
Non sapremo mai dove sta la verità – molto probabilmente nel mezzo – ma certamente sappiamo che la coesistenza di due frontmen ugualmente carismatici e preziosi per la band, spesso, è complicata. Molte volte, più la simbiosi artistica e personale è forte e profonda, più è facile che, quando si incrina, lo faccia in maniera brutale e senza punto di ritorno. Un esempio noto a tutti è quello dei fratelli Gallagher (per altro, “pigmalioni” e amici degli ex Kasabian ancora oggi), ma possiamo pensare anche ai Libertines di Carl Barat e Pete Doherty, o al grande classicone, Paul e John.
Fatto sta che quell’alchimia visibile e quasi contagiosa che contraddistingueva il rapporto tra Sergio Pizzorno e Tom Meighan, oggi sembra solo un lontanissimo ricordo.
E di questo siamo molto dispiaciuti, perché, insieme alla loro amicizia, sono spariti anche i Kasabian, una delle migliori band degli ultimi vent’anni: caposaldo di quella ondata indie rock che ha riportato in auge la musica britannica dopo il brit pop, di cui sono stati padroni insieme agli Arctic Monkeys, i Kasabian per più di quindici anni hanno infiammato i palchi di tutta Europa, con pezzi adrenalinici, orecchiabili, divertenti, spacconi. Sì, perché spacconi lo sono stati, eccome: le provocazioni ad altri gruppi, i proclami di gloria, i testi leggeri e improntati a dare un’immagine sfrontata e menefreghista. La penna e la chitarra di Sergio, i ritornelli facili ed energici, la voce pulita di Tom: la ricetta era semplice, ma perfetta.
E, come in ogni ricetta perfetta, togliere un ingrediente può cambiare completamente il sapore: a prescindere da come la si pensi, i Kasabian di oggi non hanno niente a che vedere con la band che abbiamo conosciuto: tutto lecito e, anzi, in parte apprezzabile, ma resta il fatto che anche i già citati e agitati fratelli Gallagher compresero l’importanza di continuare con nomi diversi, in rispetto al progetto storico e indimenticabile che li aveva uniti e portati alla fama, ma che si era spezzato. I Kasabian oggi hanno preferito cambiare stile e approccio, ma mantenere il nome di un progetto che non esiste più e che è stato reso famoso anche da una persona che ne è stata allontanata. E questa, in tutta sincerità, è una scelta che fatichiamo a condividere.
Dall’altra parte, abbiamo Tom che, prima di ogni altra cosa, ha dovuto pensare a rimettersi in sesto: dopo la rehab e il matrimonio, nel 2022 Tom ha ripreso a registrare, pubblicare ed esibirsi. Nelle interviste appare invecchiato e smagrito, ma molto più calmo: l’impressione è quella di un uomo più consapevole – dei suoi errori e di quello che vuole fare – ma anche coraggioso, perché non è facile, a più di quarant’anni e con una macchia reputazionale di quel tipo, decidere di rimettersi in gioco diventando anche autore, una dimensione per lui inedita.
E il Tom Meighan autore è autoreferenziale, cita le due debolezze e le sue difficoltà, non ha paura di mostrarsi vulnerabile: tutte connotazioni lontanissime dai testi spacconi dei tempi dei Kasabian, ma che ben si sposano alla sua rinnovata consapevolezza.
Il passo decisivo saranno il disco e il tour – che avrà una scaletta meno focalizzata sul repertorio dei Kasabian, e palchi più importanti, come le aperture a Noel Gallagher – ma per ora le premesse ci sembrano molto interessanti.
Tom Meighan sta dimostrando un amore profondo per la musica: quando dice di essere nato per fare il frontman e di non poter far nient’altro, non dice una frase fatta, ma esprime tutto il suo attaccamento verso la vita da musicista. Nonostante proprio gli eccessi della sua vita da performer siano stati causa del suo tracollo, è ammirevole assistere al suo tentativo più pacato e ragionato di essere ancora lì, su quel palco, a comunicare con le persone. Come ha detto in un’intervista recente, non è interessato ai numeri più bassi o al dover suonare davanti a poche centinaia di spettatori invece che a migliaia: è un uomo complicato, fragile, che è caduto, si è rialzato e cerca di rimanere in piedi con più tenacia.
Magari proprio in quella posa con le gambe puntate e le braccia tese verso il cielo che lo ha sempre contraddistinto, e che, ancora oggi, sa calamitare l’energia di chi si trova sotto al suo palco.
Sara Bernasconi