“Are you feeling Milan?” the kooks, un concerto che coccola.

Inside In/Inside outI Kooks sono quattro ragazzi di Brighton che, come tanti, hanno cominciato a fare musica…

Inside In/Inside out

I
Kooks sono quattro ragazzi di Brighton che, come tanti, hanno cominciato a fare musica sui banchi di scuola, arrivando a formare ufficialmente la band nel 2005. I primi singoli “Eddie’s gun” e “Sofa song” hanno riscosso un discreto successo in patria, prima che “You don’t love me” donasse alla band il primo ingresso nella Top20 nazionale. Da lì, l’accordo con il produttore Tony Hoffer e l’incisione dell’album Inside In/Inside Out, uscito ad inizio 2006.

I paragoni più comuni li proiettano sulla scia dei Police e degli Strokes, anche se loro hanno dimostrato di non disdegnare la sperimentazione. Per forme e sonorità riecheggiano a tratti il punk anni ’70 (Pritchard ricorda la cadenza e lo stile di Joe Strummer), per contenuti e atteggiamento si avvicinano di più al pop e al surf rock.

Credits: NME

Inside In/Inside Out è un prodotto energico, spontaneo e piacevole. Ripercorso e celebrato con un’unica data italiana al Fabrique di Milano, il 1° febbraio 2023, riprogrammata di un anno a causa della pandemia (ormai una “trafila” quasi obbligata per gli artisti in questi ultimi tempi), i Kooks non rinunciano a mostrare le loro radici indie, la loro ottima padronanza dei mezzi a loro disposizione e un certo eclettismo.

Il tour era stato infatti pensato per celebrare l’anniversario quindicennale dal debutto dell’album che li ha consacrati nel panorama indie britannico dei primi anni duemila. La celebrazione, anche se tardiva, è avvenuta a pieni polmoni. 

L’intima ed iniziale versione di “Seaside“, esibita solo con un accompagnamento acustico, ha riscaldato gli animi e spalancato le porte ad una meravigliosa nostalgia indie che ha creato un terreno a dir poco romantico tra il frontman Luke Pritchard e il suo pubblico. Un momento estremamente romantico al punto che, quando il cantante è stato poi raggiunto dagli altri componenti della band, – Hugh Harris alla tastiera e alla chitarra, Jonathan Harvey al basso e Alexis Nunez alla batteria – la folla si è quasi stranita, come se si fosse dimenticata per alcuni minuti dell’esistenza del resto della formazione.

Tutte le principali tracce del loro primo lavoro si sono susseguite in maniera spensierata e armonica intervallate da pezzi più recenti come “
Connection” (album: 10 tracks to Echo in the Dark) e “Bad Habit” (album: Listen) riportando subito lo spirito al caro indie rock: chitarre elettriche, batteria e riff incalzanti sono tornati prepotentemente.
She moves in her own way” ha raccolto una delle maggiori reazioni della serata attraverso un’estasi esplosiva di vita e di suono tra il pubblico. Lo stesso spirito, caldo e accogliente, è stato ripreso in “Always where I need to be” e la storica “Junk of the Heart“.

È stato impressionante notare come lo spirito adolescenziale dell’intera band fosse ancora vivo e protagonista e come l’energia del frontman, oggi padre e quarantenne, non fosse cambiata di una virgola. La voglia di ballare sfruttando tutto lo spazio a sua disposizione è stata palpitante per tutto il tempo così come la ricerca costante del contatto con il pubblico, il quale ha ricevuto coccole continue e brevi chiacchierate con il cantante, preoccupato affinché lo show andasse bene e che tutti quanti si stessero divertendo. Risultato raggiunto sicuramente a pieni voti! 

photo: Fabio Izzo

Peccato solo per alcuni momenti puramente strumentali che sono risultati inutilmente troppo lunghi (ad esempio durante “Do you Wanna“) o con un synth-pop troppo lento che ha faticato a suscitare la reazione del pubblico e ha rallentato un po’ lo slancio dello show. Il singolo “Cold Heart”, per esempio, non ha trovato piena giustizia anche perché è arrivato subito dopo il caldo bagliore di qualche migliaio di persone che urlavano “Jackie Big Tits”.

Dopo un ormai sdoganata finta “uscita di scena” a fine performance e dopo pochi minuti di mistero, i Kooks sono ricomparsi nuovamente sul palco richiamati da un pubblico che batteva prepotentemente i piedi sul pavimento chiedendo a gran voce il loro “encore”. Naturalmente, l’impazienza è stata dettata dal pezzo fondamentale del disco – “Naïve” – che, come prevedibile, ha concluso il concerto in un amplesso multiplo e collettivo.

A fine serata i fan sono tornati a casa con qualcosa in più: una bella serata e tanta buona musica nel cuore. Una serata che si può riassumere citando le parole del testo di una canzone di David Bowie, un genio della musica, a cui la band deve molto (banalmente il nome), «
Will you stay in our lovers’ story? If you stay you won’t be sorry. ‘Cause we believe in you».

                                                                                                                                                                                                  Francesca Muscio

Scaletta
Seaside
See the World
Sofa Song
Eddie’s Gun
Ooh La
You Don’t Love Me
She Moves in Her Own Way
Bad Habit
Connection
Cold Heart
I Want You
Jackie Big Tits
Closer
Always Where I Need to Be
If Only
Do You Wanna
Got No Love
Junk of the Heart (Happy)

Encore:
Matchbox
No Pressure
Naïve

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Alberto Pani

Blogger

Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia