Addio a Steve Mackey, anima gentile del Britpop

“Go safe Mackey lad. You were one of the good guys. Big Love” – Noel Gallagher [“Buon…

“Go safe Mackey lad. You were one of the good guys. Big Love” – Noel Gallagher
[“Buon viaggio, caro Mackey. Tu sei stato uno dei buoni. Con grande amore”]

Con queste parole, brevi ed efficaci come sempre, Noel Gallagher, uno dei protagonisti assoluti di quell’incredibile momento musicale e culturale troppo spesso ridotto al nome di “Britpop”, ha salutato Steve Mackey, il bassista dei Pulp scomparso qualche giorno fa a soli 56 anni, dopo una malattia.
Abbiamo scelto proprio queste parole, perché, in poco spazio, riassumono tutto quello che Steve Mackey ha rappresentato: uno dei volti buoni e discreti di quegli anni magici, a cui Noel, non esattamente noto per lasciarsi andare a toni sdolcinati, ha voluto riservare un ultimo saluto pieno d’affetto.

 

Steve-Mackey-Instagram
Credits: Steve Mackey, Instagram

Steve Mackey era uno di quegli animi gentili che, spesso, nel mondo della musica vengono messi un po’ in ombra da chi sa prendersi la scena a suon di provocazioni o sbruffonaggine, ma che sanno lasciare un bel ricordo in chiunque.
Ne è piena conferma il saluto accorato e unanime dei protagonisti di quella scena musicale irripetibile – da Jarvis Cocker e i compagni di band al già citato Noel Gallagher, da Ed O’Brien dei Radiohead a Danny Goffey dei Supergrass, da Matt Osman degli Suede a Graham Coxon dei Blur, solo per citarne alcuni – che ha immediatamente seguito l’annuncio ufficiale della morte di Steve.

Un uomo cortese, un po’ riservato, ma sempre disponibile, un artista poliedrico (era anche produttore, fotografo e regista) e un musicista di talento che ha dato un contributo fondamentale a una delle band simbolo della musica inglese degli ultimi decenni, i Pulp. E lo ha fatto nei cosiddetti anni d’oro del gruppo di Sheffield – quelli che vanno dal 1989 al 2002 – e poi per le successive reunion del 2011 e 2012, lavorando ai brani che hanno contraddistinto il suono e la carriera dei Pulp così come di tutta la scena rock britannica di fine ‘900 e inizio 2000.

Credits: Rankin

Dal suo ingresso, ha sviluppato il suono della band arricchendolo e donandogli quel tocco “cool” che si sposava perfettamente con il sarcasmo dei testi con cui i Pulp hanno saputo raccontare le sfumature sociali e culturali della terra d’Albione negli anni ’90, con gli album “Separations”, “His N Hers”, “Different Class”, “This is Hardcore”, “We Love Life”.

Basti pensare al groove ritmato del basso in “Babies”, che accompagna la voce calda di Jarvis Cocker mentre canta di nascondigli nell’armadio per spiare la stanza dell’amata, come se fosse la cosa più naturale del mondo. O ancora nella famosissima “Disco 2000”, in cui il basso di Steve sembra ricalcare il battito cardiaco di Jarvis che canta la nostalgia di un amore passato e mai completamente risolto. Ed è proprio nel pezzo più noto dei Pulp, “Common People”, che il lavoro di Steve Mackey si integra alla perfezione per far fare al pezzo il decisivo salto di qualità.
In questa asprissima critica alle celebrities (o aspiranti tali) di quegli anni – nonché incredibile anticipazione di quello a cui avremmo assistito un paio di decenni più tardi con l’esplosione di “profili” ugualmente stilizzati e vuoti su uno schermo – ogni elemento della composizione gioca un ruolo importantissimo.
Se è chiaro ed immediato che la canzone non sarebbe stata la stessa senza il carisma di Jarvis Cocker, o senza quella nota ripetuta sulla pianola e i riff di chitarra, è forse meno palese il ruolo cruciale delle linee di basso che, prima in sordina, poi in crescendo, seguono l’aumentare della tensione del testo e della melodia; è l’elemento chiave per descrivere l’ammontare della rabbia che chi lotta ogni giorno per vivere decentemente prova nei confronti di chi, dall’alto di una vita privilegiata e annoiata, guarda al vivere della gente comune come a una sorta di esperimento sociale.
Con la solita discrezione, Steve e il suo basso hanno reso esplosivo il pezzo, trasformando una bella canzone in un brano iconico per un’intera generazione di ragazzi inglesi.

Come per quasi tutti gli altri gruppi brit-rock che hanno incendiato gli anni ’90, anche per i Pulp il finire del decennio è coinciso con la fine dell’attività della band. Ma se molti suoi colleghi si sono accontentati di vivere di vecchi riflessi, Steve ha continuato a dar sfogo alla propria creatività: negli anni, infatti, è diventato un produttore affermato (lavorando con artisti del calibro di M.I.A., The Kills, Florence + Machine e Arcade Fire), ha sviluppato la sua passione per la fotografia e la regia, e ha persino preso parte alle riprese del film “Harry Potter e il calice di Fuoco”, come membro di quella che sarebbe stata una super band Britpop, i Weird Sisters, insieme al suo amico Jarvis Cocker, a Jonny Greenwood e Phil Selway (Radiohead), Jason Buckle (Of All Seeing I) e Steven Claydon (Add N to (X).

Lo scorso autunno, all’annuncio delle prossime date estive dei Pulp, Steve aveva annunciato che non avrebbe partecipato ai concerti, ringraziando i fan per l’affetto ricevuto e augurando il meglio ai suoi compagni.
Sempre pronto ad accompagnarli a distanza con quel sorriso mite e le sue eleganti linee di basso, proprio come farà anche d’ora in poi, in buonissima compagnia, da lassù.

Sara Bernasconi

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Alberto Pani

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Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia