Quando una band non basta: un viaggio nel mondo dei side projects
Quando pensiamo ai musicisti, ci concentriamo giustamente sul progetto per il quale sono diventati celebri: li accostiamo…
Quando pensiamo ai musicisti, ci concentriamo giustamente sul progetto per il quale sono diventati celebri: li accostiamo automaticamente al nome della band a cui devono la fama, a un’eventuale rivalità con un altro membro del gruppo, al loro ruolo specifico o allo strumento che sanno gestire con magia. In un secondo momento, se ne hanno, pensiamo ai loro progetti solisti, a volte con la giusta dose di sufficienza – perché quel disco solista porta la colpa di corrispondere a un periodo di “improduttività” della nostra band preferita – a volte con rinnovata stima e adorazione.
Più raramente, invece, pensiamo ai cosiddetti “side projects”, ossia quei progetti che gli artisti avviano in aggiunta alla propria band principale: spesso sono formazioni parallele fondate da un musicista insieme a colleghi meno noti, altre volte, invece, vediamo nascere veri e propri super-gruppi e collettivi di star.
In entrambi i casi, i side projects non implicano la fine del progetto principale, ma ne rappresentano un binario parallelo, di sfogo, creazione o divertimento.
L’esempio più noto degli ultimi due decenni è indubbiamente quello dei Gorillaz: nata in un momento di crisi creativa e interpersonale dei Blur, la creazione di Damon Albarn è stata, dapprima, la prima band virtuale della storia e, poi, un hub in grado di raccogliere nei propri album una serie incredibile di collaborazioni con pietre miliari della musica mondiale: Elton John, gli ex Clash Mick Jones e Paul Simonon, Noel Gallagher, Robert Smith (The Cure), Peter Hook (Joy Division e New Order), Lou Reed, Beck, Tony Allen e Snoop Dogg sono solo alcuni dei nomi che hanno collaborato con la band dal 2011 a oggi.
Oggi, mr. Albarn fa convivere pacificamente questo collettivo – composto un po’ da cartoon, un po’ da superstar – con le reunion dei Blur e con i suoi tanti progetti.
Ma, a dispetto di quanto si possa pensare, sono tantissimi gli spin-off che, negli anni, hanno dato modo ad alcuni tra gli artisti più famosi del mondo di sfogare il proprio talento in maniera alternativa a quella del proprio progetto principale: abbiamo pensato di selezionarne solo alcuni, spaziando tra generi diversi… tutti rigorosamente rock!
Brit invasion
La Terra d’Albione, si sa, è sempre stata prolifica di musicisti di talento, che non riescono ad accontentarsi di un solo progetto.
Oltre al già citato Damon e ai suoi molteplici progetti paralleli (dopo i Gorillaz, abbiamo anche i “The Good, the Bad & the Queen”, le composizioni orchestrali per le opere teatrali, i progetti in Mali e un disco solista), in casa Blur non sono mai mancati i side projects: l’esperto è Graham Coxon che, dopo ben otto dischi da solista e la composizione della colonna sonora originale delle serie tv “The End of the F***ing World”, ha recentemente debuttato con i The Waeve, un duo formato con Rose Elinor Dougall, ex Pipettes, abbandonando i riff e gli assoli che lo hanno reso famoso a favore di atmosfere più intimistiche. Non contento,ogni tanto non disdegna di divertirsi con alcuni amici, nello specifico: Matt Bellamy (Muse), Nic Cester (Jet), Miles Kane, Sean Payne (The Zutons) e il discografico Jamie Davis, ossia i The Jaded Hearts Club. Questi ragazzi di belle speranze, qualche tempo fa, hanno strimpellato con un collega già più inserito nel music business: si chiama Paul McCartney, e forse potreste averne sentito parlare.
Il fronte londinese del Brit-pop non ha esaurito la sua creatività: anche Dave Rowntree (il batterista dei Blur) si è dedicato ad un progetto musicale parallelo, The Ailerons, mentre Alex James, il bassista della band, in passato ha fondato i Fat Les insieme a Keith Allen e Damien Hirst e il duo WigWam con Betty Boo.
Rimanendo dalle parti degli anni d’oro della musica britannica, è impossibile non citare un altro artista eclettico e poliedrico: Thom Yorke. Il leader dei Radiohead, infatti, non ha solo all’attivo album solisti e colonne sonore, ma è fondatore degli Atoms for Peace, in cui, insieme a Flea (bassista dei Red Hot Chili Peppers) sperimenta suoni più elettronici, e dei più recenti The Smile, più ispirati dal post-punk.
Abbiamo nominato Miles Kane come membro della super band The Jaded Hearts Club, ma il buon Miles, molto più noto e influente oltremanica di quanto lo sia nel resto del vecchio continente, vanta un’amicizia e una collaborazione molto particolare: quella con Alex Turner, il frontman degli Arctic Monkeys. I due, infatti, sono legati da un legame quasi fraterno e, dopo aver collaborato spesso nei pezzi della band di Sheffield, hanno creato un loro gruppo parallelo, The Last Shadow Puppets: grazie alle atmosfere retro, alle belle melodie e al carisma dei due amici, il duo ha pubblicato due album e tre EP, tutti unanimemente riconosciuti dalla critica.
Il garage rock ribolle
Presto, è tempo di prendere un aereo e volare oltreoceano: anche in America, infatti, i musicisti faticano a stare troppo con le mani in mano.
Partiamo da una band tornata alla ribalta ultimamente, tra raccolte e documentari: gli Strokes, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa.
Il frontman della band, Julian Casablancas, ha approfittato del lungo stop discografico della band (tra il 2006 e il 2011) per dedicarsi a The Voidz: i suoni elettronici e pop prendono il posto delle chitarre e della voce sguaiata in questo progetto che, esattamente come la band primaria di Julian, sta per rivedere la luce dei live la prossima estate (saranno anche in Italia, a Bologna, il 7 giugno).
Più fedele alla matrice originaria, invece, è il chitarrista Albert Hammond jr: anche se la sua carriera parallela è composta da album come solista e non da un’altra band, ci sentiamo di segnalare i suoi lavori, in cui ha saputo reinterpretare con un tocco personale i riff e le melodie che hanno dato gloria agli Strokes. In particolare, merita una menzione il suo lavoro più recente, Francis Trouble, un album di facile ascolto e di buonissima produzione.
Ma non è finita: il batterista Fabrizio Moretti ha formato i Little Joy, mentre il bassista Nikolai Fraiture ha lavorato da solista come Nickel Eye.
Ci allontaniamo di poco, nel tempo e nello spazio, per parlare di un altro ragazzo particolarmente creativo: Jack White.
Oltre ad avere movimentato la scena con i suoi The White Stripes (a cui, sì, dobbiamo molto di più del ritornello dei Mondiali di calcio 2006), il nostro Jack ha creato prima i The Raconteurs, insieme all’amico e cantautore Brendan Brenson, e poi i Dead Weather, insieme a Alison Mosshart dei Kills, Dean Fertita dei Queens of the Stone Age e Jack Lawrence dei Greenhornes. Nel dubbio, ha cambiato anche lo strumento: nel gruppo, che ha all’attivo tre album, Jack suona la batteria.
Il rock governa gli anni ‘90
Rimaniamo nel Nuovo Continente, ma cambiamo genere. Negli anni ’90 il rock americano governa il mondo: da una parte abbiamo l’hard rock melodico ed esibito di gruppi come i Guns’N’Roses, che con il loro doppio capolavoro “Use Your Illusion” segnano definitivamente le adolescenze e i gusti di migliaia di adolescenti in tutto il mondo, dall’altro abbiamo il disagio esistenziale urlato nel grunge di gruppi come Nirvana e Soundgarden.
In questo caso, più che la foga compositiva, è la tensione che spinge i talenti che suonano in queste band tanto indimenticabili quanto complicate a rifugiarsi in progetti paralleli. Così, per esempio, Slash, il chitarrista più popolare e iconico degli ultimi tre decenni, ha approfittato dei dissapori infiniti con Axl Rose per dedicarsi ai Velvet Revolver: una super band che annoverava tre membri dei Guns N’ Roses (oltre a lui, il bassista Duff McKagan e il batterista Matt Sorum), Scott Weiland degli Stone Temple Pilots e Dave Kushner dei Wasted Youth.
Sul fronte grunge, invece, è stato il compianto Chris Cornell, frontman dei Soundgarden, a dettare il passo doppio con i suoi Audioslave, una compagine formata insieme a Tom Morello dei Rage Against the Machine, Tim Commerford e Brad Wilk.
Non poteva certo mancare il vulcanico Dave Grohl: non fosse bastato essere il batterista dei Nirvana e il fondatore dei Foo Fighters, Dave ha dedicato tempo prima ai Probot, che con un album hanno riunito le icone dell’heavy metal anni Ottanta e Novanta, e, poi, ai Them Crooked Vultures, insieme a Josh Homme (Queens of the Stone Age, ma anche Kyuss e Eagles of Death Metal) e da John Paul Jones (Led Zeppelin).
Punk senza confini
Dopo aver viaggiato da questa e da quella parte dell’oceano, concludiamo il nostro viaggio con un genere che racchiude entrambi i continenti, il punk rock.
Dalle parti di Berkeley (California) all’inizio degli anni ’90 tre ragazzi coi capelli colorati e la faccia stralunata si fanno spazio, sgomitando tra l’hard rock e il grunge, con accordi facili e chiassosi e ritornelli imbattibili: sono i Green Day, e riporteranno al mondo di fine secolo il punk rock.
Nonostante la carriera continuamente vincente del trio, Billie Joe Armstrong, il popolarissimo frontman, non è rimasto con le mani in mano, e negli anni ha dato vita a Pinhead Gunpowder, The Network, The Longshot e The Coverups. Ma c’è di più: insieme ai suoi compagni di avventura nei Green Day (Tré Cool, Mike Dirnt e il chitarrista aggiunto jason White) ha pubblicato singoli e album garage rock sotto lo pseudonimo “Foxboro Hot Tubs“.
Per concludere la nostra traversata, però, facciamo qualche passo indietro nel tempo e attraversiamo nuovamente l’Atlantico: in questa zona senza tempo e limite, incontriamo Johnny Rotten e Joe Strummer.
Il primo è lo scatenato e irriverente leader dei Sex Pistols: dopo la vita breve del gruppo (e purtroppo di alcuni suoi componenti), ha saputo reinventarsi coi Public Image Ltd, un gruppo post-punk che accoglieva anche Keith Levene (passato brevemente anche per i Clash) e Jah Wobble. I tre hanno sperimentato contaminazioni all’avanguardia per quell’epoca, dal psichedelico al tribal, ispirando moltissime band future.
Joe Strummer (all’anagrafe John Graham Mellor) è uno di quegli artisti capaci di superare agilmente il confine di musicista e diventare un’icona generazionale: la potenza dei testi e l’immagine sfrontata e diretta ne hanno fatto una sintesi perfetta di genio musicale e leader dal carisma imperituro. Oltre al gruppo a cui deve la fama, i Clash, Joe ha prodotto un album solista, composto la colonna sonora di film come “Sid and Nancy” e non si è fatto mancare comparsate nel gruppo simbolo del folk irlandese, i Pogues, o nei 101’Ers. Poi, proprio negli anni finali della sua vita, ha formato i Joe Strummer & the Mescaleros: anche se non si tratta di una band parallela, ci sembrava giusto onorare l’atto finale di un artista così importante, che con questo gruppo ha vissuto anni di rinascita creativa e personale.
Il viaggio completo nel mondo dei side projects dovrebbe includere moltissimi altri nomi e generi: ne abbiamo citati solo alcuni per dare un’idea di quante incredibili sinergie e interconnessioni siano nate tra (e da) alcune delle band più famose della storia della musica rock.
Un mondo fitto, variegato, affollato da artisti geniali e generosi che non finiremo mai di ringraziare.
Sara Bernasconi