THE TROUBADOUR: racconti e storie da un leggendario luogo di culto
Non sono poi così tanti i luoghi che possono vantarsi di aver avuto un ruolo cruciale nella…
Non sono poi così tanti i luoghi che possono vantarsi di aver avuto un ruolo cruciale nella scena della musica mondiale e di essere stati fonte di ispirazione per tanti artisti: il Troubadour è senz’altro uno di questi.
Questo luogo ha rappresentato la culla fortunata e accogliente per tanti cantautori all’inizio della loro carriera in California, soprattutto quella degli anni ’60 e ’70. Il padrino di questo movimento è stato senza ombra di dubbio Doug Weston, giovane e carismatico impresario, nonché fondatore del club, noto anche per gli accordi stretti con i vari cantautori: tali accordi prevedevano che, dopo essere diventati famosi, gli artisti sarebbero tornati al club per esibirsi. Weston aprì il club come caffetteria nel 1957 su La Cienega Boulevard, ispirandosi al Troubadour Cafè di Londra e nel 1961 si trasferì nella sede attuale al 9081 di Santa Monica Boulevard, West Hollywood, Los Angeles, California. Da allora è rimasto aperto ininterrottamente.
La parola “Trovatore” si riferisce alla figura di un poeta e musicista che cantava storie d’amore nella Francia dall’XI al XIII secolo. Doug Weston fondò il Troubadour come luogo di ritrovo per giovani artisti folk e cantautori e definiva gli stessi i ‘trovatori moderni’: “Le persone che suonano nel nostro club sono artisti sensibili che hanno qualcosa da dire sui nostri tempi”, dichiarò al Los Angeles Times. Un club come vero e proprio trampolino di lancio per le carriere di svariati nomi di spicco e di successo, le cui prime esibizioni hanno contribuito a stabilire la loro futura fama. In quel periodo e in quei tempi erano tutti in transizione, nessuno si sposava, nessuno aveva una famiglia, nessuno aveva un legame: la connessione era il Troubadour. Era lì che tutti si incontravano, potevano ascoltare la musica degli altri e trovavano persone in sintonia con il modo di esplorare la musica.
Prima di tutto, è doveroso sottolineare che il club è stato (ed è tuttora) anche il luogo ideale per esibizioni di comici e cabarettisti: uno dei primi fu Lenny Bruce, che proprio al Troubadour, con la sua satira aperta e forse fin troppo diretta per quei tempi, fu anche arrestato nel 1962 per aver pronunciato la parola “schmuck” sul palco. Capitava altre volte che Bruce venisse arrestato. Quella sera era salito sul palco indossando jeans, un pigiama e un impermeabile: secondo quanto riferito, Bruce disse che indossava il cappotto nel caso in cui i poliziotti lo avessero arrestato.
Il Troubadour aveva una band ‘di casa’ chiamata The Men e una sera del 1964, dopo uno dei loro concerti, Bob Dylan salì sul palco per una jam session folk improvvisata solo per lo staff del locale. Non passò molto tempo da quella notte al momento in cui Dylan fece la storia della musica pop passando dal folk al folk-rock con la sua ‘svolta elettrica’, e più precisamente al Newport Folk Festival del 1965. Intorno al 1964 il chitarrista e cantante Jim McGuinn era solito salire su quel palco per interpretare versioni acustiche dei Beatles. Un giorno fu avvicinato da Gene Clark al bancone del bar: presto i due fondarono un duo, finché poco tempo dopo, mentre stavano pizzicando le corde delle chitarre seduti sulle scale del club, dove l’eco era più buono, furono raggiunti da David Crosby che, senza dire niente, iniziò a cantare con loro facendo la parte armonica: quei tre giovani scelsero Jet Set come nome per il loro nuovo trio, ma ancora non sapevano che in realtà avevano appena fatto nascere i Byrds. Nel 1965, proprio al Troubadour, si esibirono per la prima volta con la loro versione del classico di Dylan “Tambourine Man”, e solo un anno dopo, su quello stesso palco, si esibirono dal vivo per la prima volta i Buffalo Springfield: il loro debutto ha sostanzialmente lanciato le carriere di Stephen Stills e di Neil Young e quel concerto portò poi la band a una permanenza fissa di sei settimane presso un altro club iconico e molto popolare all’epoca, il poco distante Whisky a Go-Go. Entro la fine di quell’anno, i Buffalo Springfield registrarono “For What It’s Worth”, il resto è storia. Pochi mesi prima, nello stesso anno, era stato il cantautore canadese Gordon Lightfoot a fare il suo debutto americano.
Era il 1969 quando la band country-rock originariamente formata da Richie Furay, Jim Messina e Rusty Young, arrivò in ritardo al Troubadour da un concerto a Denver: una volta arrivati sul posto, trovarono l’allora sconosciuto comico Steve Martin che suonava le loro canzoni al banjo davanti a una folla estasiata. Si trattava di un gruppo che sarebbe stato poi considerato tra i pionieri del country-rock californiano: i Poco, formati sulle ceneri dei Buffalo Springfield. Non tutti sanno che inizialmente il nome scelto per la band era Pogo, ma il fumettista creatore di un omonimo personaggio rivendicò il diritto esclusivo sull’utilizzo di tale nome. Per quanto riguarda Steve Martin sappiamo tutti essere diventato in seguito una grande star della commedia americana
Facciamo un piccolo passo indietro: nel 1968 un giovane James Taylor abitava a Londra e riuscì tramite Peter Asher, fratello di Jane nonché fidanzata dell’epoca di Paul McCartney, a ottenere un’audizione per la Apple Records dei Beatles. A presenziare c’erano Paul e George Harrison: Taylor scelse di far ascoltare la sua “Something in the way she moves“, che poi ispirò “Something” di Harrison. Il brano piacque molto ai due Beatles e Peter Asher decise di produrre il primo album di James, nel quale parteciparono anche Paul e George. Il suo debutto live fu nel 1969 al Troubadour in cui, per sei serate di fila, venne accompagnato al pianoforte da una certa Carol King: fu proprio lui a consigliare alla sua amica pianista di provare una carriera da solista dopo i successi come autrice insieme all’ex marito Gerry Goffin. E sarà proprio dalla galleria del Troubadour che James ascolterà per la prima volta la King cantare un brano che diventerà poi un classico per entrambi: “You’ve got a friend“.
Prima del Troubadour Elton John non aveva riscosso ancora molto successo, nel 1967 si chiamava ancora Reg Dwight. Ma il 25 Agosto del 1970 volò a Los Angeles per fare il suo debutto americano: quella sera c’erano circa 300 persone tra il pubblico, tra cui Brian Wilson, Quincy Jones, Gordon Lightfoot e David Crosby. Sir Elton venne presentato sul palco dall’amico Neil Diamond e fin dall’attacco della prima canzone, “Your song”, si creò all’istante un’atmosfera magica, qualcosa di diverso, quasi di soprannaturale, a cui i presenti non avevano mai assistito fino a quel momento e a cui, soprattutto, non erano preparati: un timido e sconosciuto ragazzo inglese dietro ad un pianoforte che sprigionava un’energia incontenibile e che faceva letteralmente impazzire gli spettatori, una forza della natura che li ha sollevati da terra. Quello fu il primo di otto concerti in sei giorni per Elton che si trovò davanti una sala gremita di persone e di personalità. “Tutta la mia vita si è animata quella notte, musicalmente, emotivamente…tutto”, ha ricordato in seguito John al Los Angeles Times, “Era come se tutto ciò che stavo aspettando fosse successo all’improvviso”.
Nello stesso anno, purtroppo, una perla rara ci lasciò: Janis Joplin. La sera del 3 Ottobre si trovava proprio al Troubadour a festeggiare, una serata come tante altre, ma il giorno dopo venne trovata senza vita al Landmark Hotel di Los Angeles per un’overdose di eroina. Janis aveva solo 27 anni e la sua morte sbalordì non solo i suoi fan, ma tutto il mondo della musica, soprattutto considerando che avvenne solo 16 giorni dopo l’addio di un’altra icona, Jimi Hendrix, anche lui ventisettenne. Sempre nel 1970 Kris Kristofferson farà il suo debutto a Los Angeles per aprire un concerto di Linda Ronstadt, una delle performer americane più importanti di sempre nonché una delle ‘regine’ del Troubadour: sono state proprio le sue esibizioni su quel palco a svolgere un ruolo fondamentale nell’affermare le donne come interpreti.
Al bancone del bar del Troubadour si incontrarono e fecero amicizia per la prima volta il batterista Don Henley ed il chitarrista Glenn Frey, nel ’70: il primo si era trasferito dal Texas per registrare un album con la sua prima band, i Shiloh, il secondo era arrivato dal Michigan per seguire la sua ragazza aspirante cantante. I due scoprirono di lavorare per la stessa etichetta come sessionman e aspettavano solo l’occasione giusta per dimostrare il loro talento: occasione che si presentò nel 1971 quando proprio Linda Ronstadt li reclutò per delle sessioni in studio. Quando arrivarono anche Meisner e Leadon i quattro tennero un ultimo concerto con Linda a Disneyland, ma poi lei ne intuì il potenziale e l’alchimia e li lasciò generosamente liberi di creare la propria band. Nacquero così gli Eagles che spiccarono il volo e in un solo anno pubblicarono il primo album. Fu un debutto rivoluzionario che vide subito tre singoli nella Top 40. C’era lo zampino di un altro grande amico musicista dietro il successo del loro primo 45 giri, “Take it Easy”: Frey lo scrisse infatti insieme al suo affezionatissimo vicino di casa, un certo Jackson Browne.
Nel 1971 un ragazzo di San Diego era solito arrivare a West Hollywood il lunedì mattina alle 9, stare in fila tutto il giorno per salire sul palco la sera (il lunedì spesso era previsto l’open mic) e suonare tre canzoni. Fu scoperto così quel meraviglioso genio un po’ folle di Tom Waits, dal produttore Herb Cohen (lo stesso di Frank Zappa) durante una serata amatoriale, il quale lo ingaggia per produrre il primo album. Il Troubadour divenne una seconda casa per Tom per molti anni. Nello stesso anno fu proprio un’esibizione live di Don McLean, più precisamente mentre cantava “Empty Chairs“, ad ispirare Lori Lieberman per scrivere il testo di “Killing me softly with this song”, incisa da Lori stessa, ma portata poi al successo nel ’73 da Roberta Flack. Stesso anno in cui il gruppo Rythm and Blues delle Pointer Sisters fece il suo debutto televisivo con il loro live al Troubadour: fu una grande esibizione per versatilità e portata ed ebbe un grandesuccesso. Il ’74 è l’anno in cui John Lennon e il suo amico Harry Nilsson furono buttati fuori dal locale perché disturbavano gli Smokers Brothers e lo stesso in cui, durante un set del jazzista Larry Coryell, Brian Wilson saltò sul palco indossando accappatoio e ciabatte e canta “Be-bop-a-lula”.
Mentre il ’75 è l’anno in cui Miles Davis registra il suo “Live at the Troubadour” e quello in cui Phil Spector ascolterà Leonard Cohen sul palco per poi decidere di scrivere e registrare un album insieme, “Death of a ladie’s man”. Anche lo scrittore Charles Bukowski va menzionato tra coloro che in qualche modo hanno lasciato il segno in questa fucina di talenti: durante una lettura, fu qua che nel 1976 incontrò la sua futura moglie. I due più significativi decenni del Troubadour, cioè i ’60 e i ’70, si chiusero con la pubblicazione del singolo degli Eagles “Sad Cafè”, un testo malinconico ed emozionante sul club che li ha visti nascere.
Gli anni a venire, fino ai giorni nostri, vedranno accogliere anche nuove sonorità come la New Wave ed il punk-rock, fino a un susseguirsi variegato e continuo di artisti che in questo locale troveranno chi il proprio trampolino di lancio, come i Metallica e i Guns‘N’Roses negli anni ‘80,chi il proprio nome definitivo, come per i Pearl Jam nel 1991 (prima si facevano chiamare Mookie Blaylock), chi ancora il proprio debutto assoluto dal vivo appena diciottenne, come Fiona Apple nel’96. Perfino i Radiohead sceglieranno il Troubadour per il loro debutto americano nel ’97 per il tour di “Ok Computer”. Il nuovo millennio porta qui Dave Grohl per la prima volta con i Queens of the Stone Age nel 2002, i Coldplay nel 2005 per un concerto segreto che propone in esclusiva e in anticipo 5 brani dal loro terzo disco “X&Y”, e ancora altri artisti che si esibiscono qua per la prima volta come: per citarne alcuni, Rod Stewart, i Depeche Mode, i Nine Inch Nails e Tom Jones.
Il Troubadour è sopravvissuto anche al Covid e rimane ancora oggi un luogo popolare tra i veri appassionati di musica che amano ascoltarla dal vivo in un ambiente intimo e ricco di storia. Attrae ancora piccoli e grandi spettacoli di tutti i generi, compresi artisti con grandi nomi che vogliono offrire momenti musicali più ricercati o a sorpresa per i fan fortunati. Il Troubadour plasma musica dal 1957, è stato il salotto dove si sono incontrati i migliori giovani talenti di un’intera generazione: basta rileggere anche una sola parte della lista degli artisti che hanno solcato quel palco per poter parlare di una vera e propria Hall of Fame.
Simone Berrettini