Harlem Cultural Festival 1969 – La Woodstock nera dimenticata
Il 1969 è l’anno in cui il nome di una cittadina a nord di New York è…
Il 1969 è l’anno in cui il nome di una cittadina a nord di New York è diventato sinonimo di pace, amore libero, droga e musica, soprattutto musica. Woodstock è infatti ancora oggi il festival musicale più famoso di tutti i tempi, grazie alle decine di star che si sono avvicendate su quel palco in nome della non violenza, in nome dell’amore, a protestare contro una guerra immotivata con l’unica arma che si dovrebbe usare. Eppure, nello stesso anno, aveva luogo nello stesso stato di New York un altro festival, dai più ormai dimenticato, che ha rappresentato un significativo spaccato della storia nera negli Stati Uniti degli anni ‘60. Stiamo parlando dell’Harlem Cultural Festival.
Ladies and gentlemen, from right here in Harlem: Soul time!
Il padrino dell’HCF è il poco più che trentenne Tony Lawrence, un cantante la cui stella aveva iniziato a brillare a metà degli anni ‘60 nei night clubs della grande mela con i suoi suoni R&B. Iniziò ad usare la sua notorietà per fare del bene nella comunità di Harlem il che lo portò a collaborare con il Dipartimento dei Parchi di New York a cui, nel 1966, propose proprio l’idea del festival. L’idea fu accolta con entusiasmo dall’allora sindaco di New York, John Lindsay, che ritenne l’iniziativa un buon modo per calmare le tensioni razziali del momento e dare alla comunità nera qualcosa per cui gioire.
L’Harlem Cultural Festival vide così la luce nel 1967 ma l’edizione del 1969 fu significativa. Gli anni 60 erano sicuramente un periodo turbolento per la comunità afro-america, con la fine della segregazione razziale i neri d’America si vedevano adesso inseriti in un ambiente ostile che ancora faticava ad accettarli come parte del loro mondo. Nel 1968, dopo l’assassinio di Martin Luther King, la comunità nera aveva preso d’assalto le strade per sfogare la propria frustrazione e disagio.
A neanche un anno di distanza dalla morte del dottor King, l’Harlem Cultural Festival serviva per celebrare quello che neppure l’odio razziale o l’oppressione sistemica potevano togliere alla comunità afroamericana: il talento, l’orgoglio e la gioia. Mount Morris Park era diventato il posto per tutti gli amanti del blues, R&B, rock, gospel, jazz, soul e funk in cui ritrovarsi ad ascoltare artisti cantare di amore, cuori spezzati e orgoglio visti dalla prospettiva unica dell’uomo oppresso.
Le armonie vocali dei Fifth Dimension (“Aquarius/Let the Sunshine In”) aprirono il primo giorno del festival come un richiamo per chiunque ancora non si fosse reso conto dell’enorme significato che quell’evento avrebbe avuto, Sly and the Family Stone suonarono un set soul funky-rock psichedelico esortando la folla a unirsi e aiutare a cantare “I Want to Take You Higher”. La musica gospel fece la sua comparsa con gli Edwin Hawkins Singers saliti sul palco per cantare “Oh Happy Day”, e quei giorni non avrebbero potuto essere più happy di così quando Mavis Staples, dopo essersi esibita con con gli Staple Singers nel loro gospel intriso di blues, venne invitata ad unirsi alla “Regina del Gospel” Mahalia Jackson per eseguire il classico “Take My Hand, Precious Lord” del Rev. Thomas A. Dorsey, cantata dalla Jackson al funerale del dottor Martin Luther King Jr. ad Atlanta proprio l’anno prima.
E nonostante il razzismo intrinseco nella società dell’epoca avesse messo a dura prova l’evento quando il NYPD si rifiutò di fornire il servizio di sicurezza per il festival, i membri del Black Panthers Party si offrirono volontari per assicurare ai partecipanti il divertimento che si meritavano rimanendo al sicuro. Ancora una volta la comunità nera dimostrò di essere in grado di unirsi e provvedere per se stessa quando gli altri si rifiutavano di farlo.
Se a nord di New York nella cittadina di Woodstock la maggior parte degli artisti e dei partecipanti erano bianchi, al Mount Morris Park si nuotava in un mare nero eppure pieno di colori, stoffe eccentriche, teste ricce e treccine in una sfilata di moda intrisa di voglia di vivere e di cantare l’amore. Mentre nelle tv di tutto il mondo si assisteva all’allunaggio dell’Apollo 11, il 29 Luglio del 1969, sul palco dell’HCF la folla cantava con Stevie Wonder e Gladys Knight. Pare che uno dei partecipanti al festival abbia commentato la cosa alla CBS affermando che i soldi investiti per la missione delle NASA sarebbero stati meglio spesi per aiutare i poveri di Harlem e del resto del paese, e come dargli torto?
Sin dai tempi della schiavitù, quando le canzoni che risuonavano nei campi di cotone erano intrise di messaggi in codice per indicare la via della libertà, la musica nera si era distinta per essere sempre più spesso portatrice di messaggi politici audaci, capaci di parlare per e alle persone. E in questo filone ritroviamo su quel palco una Nina Simone sempre sfacciata, cantare di quanto sia duro essere una donna nera, giovane e di talento in un mondo di bianchi incoraggiando la gente a battersi per i propri diritti.
Musicisti di livello mondiale salirono su quel palco sotto al sole per diventare tutt’uno con i loro fan, in un luogo in cui tutti potevano temporaneamente sfuggire all’ingiustizia e ai disordini del mondo, ridendo, ballando, innamorandosi e battendosi per la loro libertà allo stesso tempo.
E nonostante questo, nonostante la presenza di Mahalia Jackson, BB King, Stevie Wonder, Gladys Knight and the Pips, Nina Simone e molti altri, l’Harlem Cultural Festival è rimasto per molti anni dimenticato, oscurato dalla più imponente risonanza bianca di Woodstock, fino al 2021 con l’uscita del documentario “Summer of Love” diretto da Ahmir “Questlove” Thompson che ha ispirato questo articolo.
Il festival è stato chiamato “Black Woodstock”, un soprannome interessante considerando che si è concluso due settimane prima di Woodstock. Ma non si tratta solo della “versione nera” di un evento che è stato indubbiamente una dimostrazione di incredibile talento, ma che ha anche beneficiato di un ampio riconoscimento grazie al suo pubblico bianco. L’Harlem Cultural Festival dovrebbe essere un punto culminante della storia della musica americana e una pietra miliare culturale per quell’America, ancora oggi, purtroppo, evidentemente troppo poco riconosciuta
Linda Flacco