Keep on burning, Tina
A guardare le paillettes, i capelli cotonati, i gioielli e le copertine dei giornali, è difficile pensare…
A guardare le paillettes, i capelli cotonati, i gioielli e le copertine dei giornali, è difficile pensare che le mani di una piccola Tina che abbiamo visto tenere microfoni sui palchi di tutto il mondo, una volta raccoglievano batuffoli bianchi nei campi assolati del Tennessee. Eppure, Tina è un altro grande sogno americano, la figlia non voluta di quei campi di cotone che, con le unghie e col suo ruggito inconfondibile, ha saputo navigare le acque tormentate di un fiume colmo di abusi e povertà per arrivare a conquistare le classifiche mondiali.
La Tina Turner che ci lascia oggi nasce Anna Mae Bullock nel 1939 in Tennessee, indesiderata, da genitori sull’orlo del divorzio, da una famiglia che la cresce a pane, acqua e indipendenza, dandole un tetto sulla testa ma niente di più. La piccola Anna Mae ha l’autonomia nelle vene e non sa cosa sia l’amore, ma sa cantare. Nel 1957 vede Ike Turner esibirsi per la prima volta in un club di New York e ne rimane affascinata, attratta come una falena. Gli chiede di cantare e, nonostante le sue resistenze, riesce a convincerlo, col tempo, non solo a farla esibire, ma anche a portarla in sala di registrazione. E il momento di Anna Mae arriva quando la cantante reclutata per registrare “A fool for love” non si presenta e Ike Turner si trova costretto a sostituirla con la migliore voce che abbia mai sentito. Ike “inventa” Tina Turner e ne brevetta il nome per poter essere in grado di sostituirla in caso di bisogno. Ike Turner possedeva letteralmente Tina Turner dal punto di vista musicale, fino a che non l’ha resa sua anche davanti a Dio sposandola, dopo averla messa incinta.
Ma Tina può sopportare gli abusi e i maltrattamenti di Ike per soli 18 anni e, a discapito della sua fortuna e mettendo a rischio la sua carriera, riesce ad ottenere il divorzio e a tenersi, tra le poche cose, anche il suo nome.
Tina è così indipendente e stanca di essere la proprietà di qualcuno che quando a 50 anni Erwin Bach – produttore musicale di artisti come Pink Floyd, Paul McCartney, Pet Shop Boys, Queen – le chiede di sposarlo per la prima volta lei rifiuta, per non appartenere più a nessuno e tenersi stretta quella indipendenza tanto cara e tanto agognata. Ci vorranno altri 23 anni perché Tina riesca ad accettare l’idea che il matrimonio con l’uomo che ama non sia poi così male: ha 73 anni quando, nel 2013, sposa Erwin Bach, di 16 anni più giovane.
Come anticipato, i primi anni di carriera di Tina sono tutt’altro che rosei: di fatto, i primi quattro album da solista della seconda metà degli anni ‘70 (“Tina Turns the Country On!”, Acid Queen”, “Rough”, “Love Explosion”), si rivelano un flop.
Ma nel mondo delle stelle le congiunzioni astrali creano incontri destinati a cambiare percorsi e vite intere. E’ il caso anche di Tina, che sulla sua strada (o scia, rimanendo in ambito astronomico), incontra David Bowie. Alla fine della sua tormentata relazione con Ike, nel 1983 Tina si trova anche senza un contratto discografico, perché la Capitol Records decide di non rinnovare l’accordo. Nella stessa sera, l’etichetta è pronta a festeggiare invece il rinnovo contrattuale con David Bowie, che, però, rifiuta elegantemente l’invito degli alti gradi della label e li invita invece a seguirlo allo show della “sua cantante preferita” al Ritz: il concerto è quello di Tina che, con la sua esibizione di quella sera, fa cambiare immediatamente idea ai manager della Capitol.
Di lì a poco, arriva il successo planetario di “Private Dancer”, del 1984: l’album che ci ha regalato pezzi come “What’s Love Got to Do with It” o “Better Be Good to Me” ottiene un successo enorme e immediato, con cinque dischi di platino, cinque milioni di copie vendute negli Stati Uniti e oltre venti milioni di copie vendute in tutto il mondo, e tre Grammy’s nelle categorie rock e pop, a dimostrazione di una voce universale in grado di coprire generi e sfumature eterogenei (Record of the Year, Best Female Pop Vocal Performance, Best Female Rock Vocal Performance).
Con “Break Every Rule” (1986) Tina conferma il successo mondiale dell’album precedente, donandoci 11 pezzi che vedono la collaborazione con artisti come il già citato amico Duca Bianco, Mark Knopfler, Bryan Adams, Phil Collins, Eric Clapton.
Nel 1989 è il turno di “Foreign Affair” che, manco a dirlo, è il primo album della carriera di Tina ad avere meno successo negli USA e invece una grande accoglienza in Europa e nel Regno Unito, forse anche grazie alle diverse canzoni firmate da Albert Hammond, musicista britannico autore di tantissime hit mondiali (nonché padre di Albert Hammond jr, chitarrista degli Strokes).
Oltre al successo con gli album in studio, Tina si conferma una performer incredibile, in grado di unire le note di una voce meravigliosa con un’attitudine grintosa e rock: una presenza scintillante, non solo per i suoi indimenticabili vestiti, ma per un magnetismo in grado di raccogliere tutti gli sguardi su di lei, anche quando duetta con animali da palcoscenico, come Mick Jagger o Rod Stewart.
Negli anni ‘90 e nei primi anni 2000, Tina Turner continua a godere di una grande popolarità, anche grazie alla registrazione di colonne sonore (come “GoldenEye”, scritta per lei da Bono e The Edge per l’omonimo film di James Bond, nel 1995) e alla partecipazione in serie tv di successo come “Ally McBeal”. Questa continua visibilità “pop” le permette di rimanere a tutti gli effetti un’icona unica anche per le generazioni più giovani, che attraverso questi nuovi lavori conoscono e godono di un talento puro e irripetibile. Le tante collaborazioni di Tina arrivano anche nel nostro Paese, prima con Eros Ramazzotti nel 1998 (con una rivisitazione, più rock e decisamente più efficace, di “Cose della vita”) e poi nel 2006 con Elisa, con “Teach Me Again”.
Quella leonessa da palcoscenico piena di grinta che siamo abituati a sentir strillare “Rolling on the river”, con le gambe nude e i capelli cotonati, eppure così piena di umiltà e razionalità, si racconta nelle varie interviste col pragmatismo di chi la vita l’ha vissuta davvero, in tutte le sue sfaccettature, passando dall’odio all’amore, dall’indifferenza alla notorietà, dal dolore alla serenità, arrivando a comprenderne il senso reale, ad apprezzarne il valore più puro: in una conversazione con Oprah Winfrey sentiamo Tina affermare
“I found happiness for myself because I desire nothing”.
E, forse, oltre a tutte le favolose canzoni che le abbiamo sentito ruggire e che ci rimarranno in testa per sempre, dovremmo portarci dietro anche questo piccolo frammento di saggezza dell’eterna, favolosa Regina del Rock’n’Roll.
Linda Flacco e Sara Bernasconi