JOHNNY ROTTEN: LA SINCERITA’ E’ PUNK
Sarebbe facile pensare all’autobiografia di John Lydon (in arte Johnny “Rotten”) come a un concentrato di racconti…
Sarebbe facile pensare all’autobiografia di John Lydon (in arte Johnny “Rotten”) come a un concentrato di racconti estremi, confusi ed eclatanti: ed è per questo che, invece, il suo memoir “Anger is an Energy – My life uncensored” stupisce per la chiarezza, l’onestà e, diciamolo, la tenerezza dei suoi contenuti.
Il titolo del libro nasce dal testo di “Rise“, la canzone più famosa della sua seconda e più longeva band, i Public Image Limited, passata proprio qualche giorno fa in Italia per una data del tour europeo per la promozione dell’ultimo album, “End of World“.
Perché parlare oggi di un’autobiografia pubblicata all’incirca dieci anni fa?
Semplice: perché si tratta di un racconto che attraversa quattro decenni di musica, di cultura britannica e di cambiamenti sociali internazionali, con la sana arroganza di chi non ha nulla da dimostrare a nessuno, ma anche con la sincerità di una personalità fuori dagli schemi.
John Lydon, infatti, ci racconta di sé partendo dalla sua infanzia negli allora sobborghi di Londra (Highbury, il quartiere della squadra di calcio dell’Arsenal, la seconda grande passione di John), in una casa che accoglieva sei persone in due stanze e in una zona in cui i bambini giocavano per strada tra i rifiuti. E’ proprio toccando l’acqua di una pozzanghera che il piccolo John, a 7 anni, contrae la meningite che gli provocherà una perdita della memoria quasi totale, ma, al tempo stesso, è stato sempre quel quartiere a metterlo in contatto con la cultura afro e reggae che influenzerà il suo modo di fare e di vivere la musica.
E, infatti, sono proprio questi contrasti e queste prove a cui la vita lo sottopone fin da subito a temprarne il carattere e a creare in lui quell’attitudine sfrontata con cui, da lì in poi, prenderà le sue esperienze più belle e quelle più dolorose per unirle in un groviglio di rabbia da esprimere a modo suo.
Lo farà con i Sex Pistols, la band che ha avviato la rivoluzione punk in Inghilterra, indignando l’opinione pubblica e dettando gli stilemi di un nuovo modo di fare musica.
Lo farà col suo rapporto conflittuale con il manager del gruppo, Malcom McLaren, figura in realtà prettamente commerciale e con poco interesse per la creatività musicale.
Lo farà con l’amicizia intensa e spiralica con Sid Vicious, che lascerà in lui i segni del lutto e il senso di colpa per averlo coinvolto nei Sex Pistols.
Lo farà con Nora, il suo primo, grande e unico amore.
Lo farà con chiunque ami quel genere musicale troppo spesso semplicemente ridotto a una parola e a una moda, ma che in realtà racchiude un’articolata attitudine culturale e sociale.
Quello che ci interessa analizzare di questo libro e, quindi, della vita di un personaggio apparentemente controverso come John Lydon, non sono gli eccessi che pur, ovviamente, riempiono le pagine dell’autobiografia, tanto quanto tutte le sfumature caratteriali di un profilo perennemente sotto i riflettori. Se Johnny Rotten (“rotten” significa “marcio“, e il prestigioso nome d’arte è dovuto allo status dei suoi denti) è il cantante arruolato proprio perché particolarmente stonato e, dunque, nella testa di Malcom McLaren, perfetto per interpretare la recita punk, lo stesso è anche un paroliere mai banale, capace di inserire nei suoi dischi canzoni che attaccano la Regina Elisabetta (“God Save The Queen, she’s not a human being“‘), così come racconti di stupri vissuti dal punto di vista della vittima (“Standing naked in this back of the woods, the cassette played poptones”).
Se è l’autore di messaggi pressoché blasfemi per la società britannica degli anni ’70, è anche l’unico artista ad essersi esposto, in tempi non sospetti, per denunciare Jimmy Savile, uno dei personaggi più spaventosi d’Inghilterra, un efferato predatore sessuale nascosto dietro il volto pop della tv nazionale.
Cosa ne ha ricavato? Una censura della BBC e, decenni dopo, la dimostrazione del fatto che avesse ragione: “I could be wrong, I could be right“, canta d’altronde nella già citata “Rise“.
La parola, infatti, è sempre stata l’arma più potente di Johnny Rotten: che sia quella provocatoria dei testi dei Sex Pistols, o quella cruda delle canzoni dei PiL, o, ancora, quelle dirette e senza giri di parole delle interviste, così come le dolci dichiarazioni alla sua Nora. Le parole sono da sempre lo strumento con cui Johnny Rotten attacca, agita, risponde e, come fa in questo libro, emoziona.
Vediamo come.
Raccontandoci gli inizi della sua vita, John ci parla della povertà, della scarsa igiene delle case di Highbury, della malattia contratta dall’acqua contaminata; ma ci racconta anche di una famiglia umile ma unita, di un padre che smette completamente di bere per amore dei suoi figli, di due genitori che gli fanno ascoltare i dischi dei Beatles e di un melting pot culturale che gli insegna a guardare il modo in modo aperto e libero.
Le contaminazioni artistiche si fanno presto spazio nella sua vita: è proprio cominciando a girare per i negozi di dischi della sua zona – a partire dal suo preferito, un piccolo shop gestito da una vecchia signora sotto il ponte di Finsbury Park, che espone dischi di reggae jamaicano di fianco a lavori heavy metal – che un giovanissimo John capisce come la musica non sia un linguaggio univoco, ma, anzi, una bellissima unione di stili diversi:
“So there would be the brilliant combination of those elements, all those records used to intermingle, I never made any cultural decision about them, they all just seemed to fit together well, so I’d like pieces and bits of anything and I’d quite happily mix reggae and classical up with Alice Cooper and Hawkwind. I understand that purity is a very fine thing, but some of us sometimes like impure, also. You know, I like to mix my drinks!”
Nell’ottica di andare oltre le divisioni nette, anche le opinioni sui suoi colleghi spaziano da commenti benevoli a critiche aspre: il tutto, sempre, visto sulla base della lealtà con cui gli artisti si comportano nei confronti del pubblico e della musica stessa. Se, da un lato, non risparmia critiche dirette a profili come Eric Clapton, reo, secondo John, di un eccessivo purismo e di una sorta di snobismo blues, dall’altro non mancano lodi aperte a band come gli Status Quo, proprio per la loro onestà musicale non filtrata, o inaspettate parole di ringraziamento per musicisti come Simon Le Bon, il leader dei Duran Duran che lo aiuta in un paio di occasioni ufficiali (quando a John viene negato l’ingresso all’after party di una premiazione, è Simon a prenderne le difese e a criticare apertamente l’ipocrisia dell’industria musicale).
Il dolore per la fine dei Sex Pistols si mischia ancora oggi al rancore che John nutre per Malcolm McLaren (di cui abbiamo parlato qualche mese fa) e il suo approccio commerciale alla musica: a decadi di distanza dalla rottura della band, John resta convinto che il manager abbia minato fin dagli inizi il fattore distintivo del gruppo, l’unità:
“To my mind they’d wrecked everything that was brilliant and glorious about the Sex Pistols, which was unity. And they tore the arse out of that through selfish shit”
I problemi con Malcolm, in effetti, sono stati immediati, fin dagli esordi, sono durati per tutta la breve durata della band e si sono poi inaspriti negli anni con le cause legali che hanno visto contrapposti John, il management e i membri rimanenti dopo lo scioglimento. John si è sempre sentito messo da parte, non pienamente apprezzato e valutato: ostentando a volte un discreto senso di persecuzione, il buon Rotten non lesina parole di risentimento verso i suoi ex compagni e l’ex manager, rinfacciando loro di non aver mai compreso pienamente l’importanza del suo ruolo come autore di quei testi sfacciati e rivoluzionari che hanno fatto la fortuna dei Pistols:
“Hello, remember me? I wrote the songs! At least the lyrics, and quite frankly I don’t think anybody ever bought a Sex Pistols record because of the lead guitar solo, or the drums, or the bass”.
E, onestamente, ci sentiamo di essere d’accordo.
La fase più recente della sua vita è stata completamente dedicata a Nora, il suo grande amore, e alla cura della terribile malattia che se l’è portata via solo pochi mesi fa, il morbo di Alzheimer. Lei e John si conoscono nel negozio di Vivienne Westwood, cinquant’anni fa, e da quel giorno non si lasciano più. Lei è tedesca e ha una figlia (con cui John avrà un rapporto del tutto paterno, arrivando a prendere la tutela dei nipoti, segnati dalla vita sregolata e piegata dalle dipendenza della madre), lui sta per diventare uno dei frontmen più noti del pianeta, ma creano da subito un legame speciale e indissolubile.
E’ stato per far divertire la mente di nuovo fanciullesca di Nora che John ha accettato di partecipare a programmi televisivi pop, ed è stato per prendersi personalmente cura di lei fino alla fine che ha abbandonato la scena musicale per anni. Già in questo libro, uscito nel 2011 e aggiornato nel 2014, John esprime tutto il suo strazio nell’immaginare una vita senza di lei, in un futuro che, purtroppo, ora è diventato presente.
E, allora, ecco che non vediamo più il giovane sbruffone vestito in modo strano e con gli occhi sbarrati, ma, semplicemente, una persona che ha vissuto la sua vita senza mai mezze misure, nel rancore come nella lealtà, nell’amicizia come nell’amore.
Un personaggio iconico e mai banale, la cui vera natura, forse, è racchiusa più nelle parole della dedica del libro che nel testo increscioso di “Anarchy in The UK”: dentro ci sono la sua famiglia, Nora e l’integrità.
“The Lydons: I can’t thank my family for giving me a career, but I can thank them for standing by me.
Nora: the love of my life. My best friend. The rows are beautiful but the making up is more so. You give me nothing but love and support.
Which I hope I’m repaying. Thank you.
I dedicate this book to integrity”
Sara Bernasconi