Pretty Vicious: l’evoluzione introspettiva del nuovo album The Struts
Eravamo tutti chiusi in casa in piena pandemia, a chiederci se mai saremmo tornati alla normalità, quando…
Eravamo tutti chiusi in casa in piena pandemia, a chiederci se mai saremmo tornati alla normalità, quando nel 2020 usciva Strange Days, album concepito e partorito in soli 10 giorni e che vede il contributo di Robbie Williams, Tom Morello e Joe Elliott dei Def Leppard. Lo scorso 3 Novembre, sono tornati con un nuovo capolavoro, che segna l’esordio della collaborazione con la Big Machine/John Varvatos Records, i 4 più glam dell’entroterra Inglese, stiamo parlando ovviamente dei The Struts.
E diciamo ovviamente quando in realtà è forse ovvio solo per pochi. Si perché nonostante la loro innegabile bravura, sostenuta e ammirata da Dave Grohl (che li ha definiti la migliore rock band che abbia mai aperto un loro concerto) i Rolling Stones e i Guns’n’Roses solo per citarne alcuni, e nonostante la spettacolarità e la carica energetica e irrimediabilmente rock dei loro concerti, nonostante una fan base solida e (troppo) lentamente crescente, il coloratissimo e glitterato gruppo inglese non riesce ad uscire dalla bolla come meriterebbe.
I The Struts sono stati negli ultimi 10 anni in grado di unire generazioni che da Tokyo a Los Angeles, passando per l’Europa, non solo acquistano i loro album ma macinano chilometri per sentirli dal vivo, colorando i loro show con la pelle liscia dei poco più che ventenni e le leggere rughe degli over 50. E lo hanno fatto con l’energia del rock e i sapori un po’pop di chi potrebbe tranquillamente inserirsi nelle classifiche della fine anni 90, dove noi Millennials ci crogioliamo con un po’di nostalgia.
Quella stessa nostalgia che sentiamo in questo ultimo album certo più introspettivo e più sperimentale, che vede Luke Spiller, frontman extraordinaire, giocare con ispirazioni nuove eppure sempre fedeli al suo inconfondibile estro creativo.
Se “Too Good at Raising Hell”, traccia di apertura dell’album, ci regala quelle stesse sonorità a cui ci hanno abituati negli ultimi anni, soddisfando le aspettative di chi non vedeva l’ora di ascoltarli di nuovo con una batteria potente e una melodia altrettanto accattivante, dall’altra parte la title track, “Pretty Vicious”, si presenta più scura e seducente, in un crescendo lento e inesorabile che parte come una ballad fino ad esplodere con la voce impeccabile di Spiller mentre ci racconta di una femme fatale che non può essere certo frutto dell’immaginazione.
E in questo viaggio introspettivo nei pezzetti di vita che hanno portato Luke Spiller, Adam Slack, Jed Elliot e Gethin Davies ad essere quella potenza magnetica che ci fa accalcare ai piedi del palco durante i loro live, ci ritroviamo su un rollercoaster di emozioni forti e riconsiderazioni mentre ci perdoniamo per i nostri errori.
Ritorniamo teenagers con “I won’t run” , pensando a quante volte abbiamo pensato di aver dato tutto, quante volte siamo stati fraintesi e sottovalutati, eppure siamo andati avanti, senza tirarci indietro, senza scappare (‘And I’ve got nothing left of me to give, but I ain’t finished yet… I don’t care what they might say, they’re wrong, I know I’m better than that… If I’m hurting, broken and bleeding, giving it every breath while I’m breathing, and I won’t run’.)
Ritorniamo in alto sul treno delle montagne russe con “Do what you want” e “Rockstar” che ci strizzano l’occhio ammiccanti e danzanti, (‘If you’re looking for a little bit of trouble then you came to the right place.’) insieme a “Remember the name”. E scendiamo lenti dal palazzo dei lustrini e della fama, dagli eccessi e dalle strobo accecanti, per riflettere con una punta di rimorso sulle cattive decisioni che la vita da rockstar ti porta a fare con ”Bad Decisions” (‘I never wanted to turn to clock back so much, this time I really fucked this up, and I hope you’ll understand, I’m not usually that kind of man…But it doesn’t change the fact that I’ve got to live with that now I have to deal with my bad decisions’).
Con questo nuovo album i The Struts strizzano l’occhio agli anni in cui Mtv metteva sul piedistallo le nostre rockstars preferite, rendendoli divini e inarrivabili, romanticamente tutto su quei palchi alti e potenti, e prendono quegli stessi suoni e quell’attitudine per unirli a quello che di più intimo e onesto possono offrire. Si spogliano delle camicie glitterate per mostrarsi lucenti, nudi e crudi eppure più raffinati che mai.
La domanda che rimane adesso è quindi: sarà “Pretty Vicious” l’album della svolta?
Linda Flacco