COS’È IL PUNK FILOSOVIETICO

Perché i CCCP hanno ancora così successo dopo 40 anni? E che cos’è di preciso il loro punk filosovietico?

Il primo EP dei CCCP Ortodossia compie quest’anno 40 anni e la mostra dedicata alla storia della band, ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia, è stata prorogata di un altro mese (fino al 10 marzo) per lo straordinario successo ottenuto.

A metà del 2023 viene annunciata l’apertura della mostra e anche un grande evento di lancio che riunirà i membri della band dopo tanti anni: è il caos. Il fatto costituisce la miccia, il sassolino buttato nel lago che dà avvio a un’ondata travolgente di rinnovata attenzione per il quartetto reggiano, sconosciuto a molti i quali pensano che Amandoti sia un pezzo di Gianna Nannini.
Concerti sold out in 10 minuti, pubblicazioni, interviste, tutta una serie di eventi collaterali alla mostra riportano alle cronache un progetto ufficialmente chiuso nel 1990, ma mai completamente sopito nella coscienza collettiva. Si risveglia un fortissimo interesse per il punk filosovietico dei CCCP in tutta Italia e anche all’estero, tra le fasce d’età più diverse (parole del Direttore di Palazzo Magnani a Reggio Emilia).

Perché i CCCP sono tornati nel 2024?
Facciamo un passo indietro per capirci qualcosa.

Siamo in Italia all’inizio degli anni Ottanta. Il Paese ha appena attraversato quel periodo spaventoso e complesso
chiamato “anni di piombo”, in cui praticamente ogni cosa nella vita di tutti giorni sembrava avere un chiaro peso politico. Il tipo di lavoro che facevi era un probabile segnale del tuo orientamento politico, il corpo era più politico che mai (ricordiamo le lotte femministe), lo studio non ne parliamo (le proteste studentesche). L’apoteosi fu la delinquenza di ispirazione politica, da un lato e dall’altro. Vallanzasca che credeva di fare le rapine di sinistra e la mala milanese della droga che frequentava ambienti di destra.
Tuttavia l’entusiasmo politico, soprattutto nei giovani, cominciava a scemare. Si aveva voglia di qualcosa di nuovo e quel qualcosa stava arrivando con prepotenza: l’America, il consumismo, la televisione, il mercato libero. La libertà individuale cominciava a passare per la possibilità di acquisto di ciascuno, finendo per omologare tutti. Gli artisti si accorgevano di questa finta libertà e andavano alla ricerca di “un centro di gravità permanente”.

In questo contesto nascono nel 1982 i CCCP, grazie a un incontro fortunato tra i ventenni Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti, a Berlino. Parlavano lo stesso dialetto reggiano: Massimo aveva appena frequentato un corso popolare di chitarra base, ma dopo qualche mese aveva abbandonato per sperimentare il suono a modo suo, ossia grattugiando le corde come si fa con il parmigiano. Giovanni veniva dalla montagna, da una famiglia che aveva sempre allevato cavalli, ed era un creativo puro di grande profondità spirituale che amava la parola. A Berlino entrambi si riconoscono nella definizione di “punk”, cioè rifiuto, immondizia. Non ne potevano più di categorie sbiadite come la cultura tradizionale, i rossi e i neri, capitalismo e anticapitalismo. Avevano voglia di qualcosa di nuovo anche nella musica, e così misero su una band. Rigorosamente punk.

CCCP è l’acronimo in cirillico di quello che in alfabeto latino è SSSR, ovvero URSS. L’impero sovietico affascina i giovani a cui appartengono Massimo e Giovanni, affascina perché è sempre stato oltre quel muro ancora ben saldo nella Berlino in cui i due si incontrano. In altri luoghi ma potentemente avvertibile, sorretto da principi inafferrabili e mistici. È l’estetica del consumo controllato, del metallo al posto della plastica, dell’austerità e del grigiore, sotto il quale scorrono fiumi di esoterismo e magia. Da qui l’aggettivo “filo-sovietico”, ma anche “filosovietico” in senso di “filosofia”.
Non erano gli unici, in quegli anni, a interessarsi all’Est europeo. Ne parlava molto il cinema, proprio in virtù di quel potente fascino estetico (Mosca a New York, 1984 con Robin Williams, oppure Il sole a mezzanotte, 1985 con Helen Mirren e Isabella Rossellini, titolo omaggio a Le notti bianche di Dostoevskij), ma anche la musica, con gruppi tedeschi semisconosciuti come i Fehlfarben.

Ma i CCCP non si sono mai adattati a una definizione sola. “Filosovietico” infatti riporta anche, inaspettatamente, all’Islam. A Berlino infatti, allora e ancora oggi, la comunità turca è numerosissima.

A Berlino, la dolcezza del vivere esce a un livello puro: la violenza più grande, la dolcezza più estrema. I punk e i turchi. Kreuzberg, quartiere abitato prevalentemente da turchi, è il cuore della nuova Europa. […] Le culture arabe e asiatiche sono quelle più vicine a noi, e la cultura europea si scontra, e si incontra, con queste due civiltà, da sempre.Questo è il nostro retroterra culturale e fisico.”

Giovanni Lindo Ferretti in un’intervista di Pier Vittorio Tondelli su L’Espresso, 18 novembre 1984

Di sovietico, nelle loro canzoni, ci sono le marce del cambio della guardia, l’inno dell’URSS, la maestosa ripetizione. C’è una fortissima presenza scenica. Di fatto, la band diventa l’icona senza tempo che è oggi grazie all’ingresso in organico di Antonella-Annarella Giudici, “benemerita soubrette”, indossatrice e cantante inusuale e Danilo Fatur, “artista del popolo”, ossia minaccioso performer conosciuto in un circolo anarchico di Carpi. Insieme, i due portano nei concerti dei CCCP una fisicità simmetrica e antitetica, perfetta rappresentazione visiva dei molteplici e variegati messaggi veicolati dai pezzi. Annarella sul palco, vestita da pseudo-robot, sventola un’enorme bandiera rossa con falce e martello, ma poi si ricopre dalla testa ai piedi di barattoli di crema Nivea, impersonando il consumismo, e promuove l’uscita dell’ultimo disco della band con un perfetto sorriso da venditrice. Il gruppo si presta alla televisione girando dei finti spot, si fanno trascinare da Amanda Lear in una trasmissione chiamata Improvvisando.

E tanto quanto “filosovietico”, anche “punk” non basta a se stesso: e così il secondo album prodotto dalla Virgin Socialismo e Barbarie contiene Tu menti, brano che fa a pezzi l’immagine stereotipata del punkettone solo a parole. Si parla moltissimo di Emilia Romagna e di liscio (Oh! Battagliero, Rozzemilia), si raccoglie l’eredità cattolica italiana (Libera Me Domine) ma si allarga l’orizzonte alle repubbliche mediorientali anche nelle sonorità (Radio Kabul, Punk Islam).
Perché il nuovo non si produce partendo da zero, ci vogliono delle radici riconoscibili da più di una generazione, da cui far fiorire qualcosa di altro e diverso che nutrirà altre generazioni.

E così il “punk melodico emiliano” di Zamboni-Ferretti-Giudici-Fatur torna a farsi ascoltare nel 2024; perché?

Azzarda Michele Rossi in Linus 2, 2024, e non si può che essere d’accordo almeno un po’:

“Ci stiamo davvero rendendo conto della disumanizzazione e dello sgretolamento nei comportamenti che sta provocando il dominio assoluto della Rete e l’avvento incontrollato dell’intelligenza artificiale? Forse è proprio per questo che sono tornati i CCCP. Per aprirci di nuovo gli occhi […], recuperare il passato sempre più afflosciato e spronarci a vivere il presente non come mercato.”

Valeria Iubatti

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Alberto Pani

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Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia