“TI DEVI SPAVENTARE”: la vita nemica di Richard Benson
La vita di Richard Benson raccontata dal documentario di Maurizio Scarcella “Benson. la vita è il nemico”.
22 novembre 2016, Roma, quartiere Alessandrino. Richard Philip Henry John Benson, anni 61, chiede aiuto ai suoi fan con un video-messaggio trasmesso da Repubblica.It. È gravemente malato e non ha più soldi per le medicine, per la prima volta fa appello all’affetto che l’ha circondato per tanti anni di carriera. Una carriera ben nota ai rockettari di Roma e dintorni, la cui eco è arrivata in tutta Italia e anche all’estero grazie agli ultimi 10 anni di Youtube prima dell’invasione degli influencer.
Giornali e radio si rimbalzano la notizia, in molti si preoccupano per le condizioni in cui appare uno dei protagonisti assoluti del Tubo in Italia, conosciuto per essere stato un grande chitarrista, profondo conoscitore di musica e anche uno scherzo del destino. Maurizio Scarcella, regista romano che dichiara di aver ricevuto da Richard Benson molto di più di quello che Benson stesso ha ricevuto dal suo pubblico, non è l’unico a dovergli molto, e comincia a girare il documentario Benson. la vita è il nemico, uscito nelle sale a dicembre nel 2023. Richard Benson muore 6 anni dopo il suo primo appello, il 10 maggio 2022.
All’inizio del film vediamo un uomo in carrozzina che dimostra molti più anni di quelli che ha, con indosso un top da donna borchiato, una lunga parrucca nera e pochi denti in bocca; accanto a lui l’amata e inseparabile moglie Esther Esposito, co-protagonista del documentario. Il prodotto ha certamente un intento commemorativo, ma raccoglie anche numerose e sincere testimonianze che ci aiutano a capire meglio un personaggio paradossale e davvero unico nel suo genere.
CHI ERA RICHARD BENSON
La storia di Richard Benson ha qualcosa in comune con quella di grandi rockstar come Kurt Cobain, Janis Joplin e Michael Hutchence: il rapporto distruttivo con il pubblico e la fama. Ma è anche una storia unica nel suo genere, dal momento che, al contrario dei grandi citati, nella vita di Benson la droga non ha mai avuto un ruolo importante (forse proprio nessuno). Il suo vero nemico è sempre stato lui stesso, le sue stesse passioni, che per lui erano la vita.
Richard Benson nasce nel 1955 ed è l’unico rampollo di una famiglia molto benestante, madre belga e padre inglese. Fin da adolescente suona la chitarra, studia e ascolta moltissima musica di ogni genere, dal blues al country al progressive, fino ad appassionarsi e riconoscersi pienamente nel metal, di cui abbraccia l’estetica e i virtuosismi tecnici. Nella parte iniziale del documentario vengono intervistati un paio di suoi vecchi amici, con i quali forma la sua prima band rock-progressive Buon Vecchio Charlie: i racconti ci parlano di un ragazzo che viveva per suonare, mosso da una autodisciplina quasi militaresca, ma anche particolarmente portato per la presenza scenica e per creare agganci nell’ambiente dell’underground musicale.
Quando il gruppo produce il suo primo album, che però non viene mai distribuito, i componenti prendono strade diverse e Benson suona da solista e entrambe le edizioni del festival pop di Villa Pamphili, davanti a centomila persone.
Da lì comincia la carriera radiofonica e televisiva come critico e recensore musicale, che lo vede praticamente onnipresente nelle trasmissioni per lo più notturne di emittenti televisive laziali, anche se Renzo Arbore e Roberto D’Agostino lo vogliono nel 1985 per Quelli della notte e Carlo Verdone gli fa interpretare se stesso in Maledetto in giorno che t’ho incontrato.
In questo periodo, Benson dimostra una cultura musicale non da poco, proiettata soprattutto a livello internazionale, che lo accompagnerà fino alla fine, ma afferma anche un modo di esprimersi che diventerà il suo marchio di fabbrica, il quale alterna urla forsennate a monologhi ieratici, spiegazioni accademiche di tecniche musicali e critiche ferocissime a musicisti di fama mondiale (es. Marilyn Manson e James LaBrie dei Dream Theater). Il metal negli anni 80 è un genere appena conosciuto in Italia e molti metallari conoscono band e artisti perché Benson ne parla in programmi come Ottava Nota. Il suo stile retorico è assimilabile a quello di Vittorio Sgarbi, che infatti viene coinvolto nel film documentario.
Il discreto successo dei suoi primi 20 anni di carriera stuzzicano l’ego di una personalità complessa e devota allo spettacolo, alla performance: i suoi concerti si colorano di esibizioni gothic-trash, dove alcune pornostar si denudano e la moglie Esther viene trascinata a terra per i capelli e si simula un rapporto sessuale violento, per il visibilio e lo sgomento del pubblico. Il pubblico, la fama: la bestia che affascina e divora.
Il 15 settembre 2000 Richard Benson cade da un ponte sul Tevere, ma, invece di cadere in acqua, si scontra con la base di uno dei piloni del ponte.
LA VITA È IL NEMICO
Nessuno sa con certezza cosa sia accaduto quel giorno. Le parole dei testimoni intervistati a proposito da Maurizio Scarcella nel documentario esprimono una tristezza rassegnata ma non stupita, come se un episodio del genere quasi se lo aspettassero, anche se questo non rende il tutto meno doloroso. Nessuno lo dice chiaramente, ma tutti sembrano pensare a un tentato suicidio.
L'”incidente” provoca a Richard la frattura di una gamba, quattro operazioni, una riabilitazione delicatissima e infinita, che non lo rimetterà mai completamente a posto.
Il tutto accade in un momento in cui l’esasperazione di un talento non solamente musicale aveva appena dato inizio a un rapporto con il pubblico paradossale e grottesco. I suoi concerti dopo la caduta, nei dintorni della Capitale, registrano il tutto esaurito e un’impennata di violenza: Richard porta sul palco le urla delle trasmissioni televisive, che cominciavano a essere riprodotte esponenzialmente su Youtube, insulti e gestacci verso il pubblico, il quale lo ripaga con la stessa moneta e ancor di più (“Parruccone fai schifo, manco er Tevere t’ha voluto”). Gli lanciano un pollo intero in faccia e lui dapprima la prende con filosofia, poi fa montare tra lui e la gente delle reti di metallo, fomentando reazioni ancora più scomposte: lancio di uova, pasta, liquidi vari, verdura, e offese che coprono anche la musica.
La moglie Esther lo asseconda con un amore tenerissimo e si prende pure lei i polli in faccia, ma alla fine è critica nei confronti dei cosiddetti “fan” del marito, mentre lui sembra felice solo quando il pubblico lo osanna, anche in questi gesti estremi. Purtroppo però gli strascichi dell’incidente, l’artrite e i problemi cardiaci compromettono gravemente la capacità di Richard di suonare la chitarra, per cui le sue esibizioni hanno sempre più del pietoso che del glorioso, alimentando attorno alla sua figura una spirale di amore-odio.
Si susseguono nei suoi interventi sia radiofonici, sia televisivi, racconti a cui si fatica a credere, che vivono contemporaneamente nella verità e nella megalomania: un tour con Rihanna (falso), la conoscenza di Steve Vai e Yngwie Malmsteen (vero), un disco con l’amico batterista John Macaluso (vero, testimoniato da Macaluso stesso nel documentario e dalla sua partecipazione al funerale di Benson).
La menzogna e il parossismo non spaventano mai Richard Benson; si proclama in completa autarchia persino di fronte agli amici e nelle difficoltà più evidenti: la fama è un demone che si nutre della vita di chi a essa si sacrifica. Nel film Benson. La vita è il nemico Benson è seduto di fornte alla tomba dei suoi genitori e dichiara di non avere paura nemmeno della morte, che molti vedono girargli intorno ben prima della sua effettiva dipartita. L’unica cosa di cui ha avuto paura è la vita stessa, il suo unico vero nemico.
Valeria Iubatti