Do You Wanna be an american idiot? Il successo dei Green Day, 20 anni dopo
Nel 2004, i Green Day pubblicavano l’album che sarebbe diventato il loro più grande successo e che…
Nel 2004, i Green Day pubblicavano l’album che sarebbe diventato il loro più grande successo e che li avrebbe resi un’icona del movimento pop punk e di denuncia politica per un’intera generazione.
Oggi, 20 anni dopo, quella chiamata a distaccarsi dal pensiero comune e far sentire la propria voce resta incredibilmente attuale, mentre le sonorità riescono ancora a colpire l’ascoltatore come un pugno in piena faccia.
American Idiot non è solo l’album che ha consolidato il successo dei Green Day a livello mondiale diventando l’inno di adolescenti e giovani adulti nei primi 2000; è stato, infatti, anche il punto di svolta nella carriera della band per il tema trattato. Parliamo del primo concept album scritto da Billie Joe Armstrong e dell’unico tentativo, fino a quel momento, di inserire la politica nella musica. Un tentativo che, forse, rappresentava più un bisogno e che si è rivelato senz’altro una mossa centrata.
Il 21 settembre 2004, data di uscita di American Idiot, l’America era a poco più di un mese dalle elezioni presidenziali che vedevano antagonisti George W. Bush e John Kerry e che si conclusero con la rielezione del presidente che aveva iniziato la guerra in Iraq in seguito all’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre.
Questo contesto è lo sfondo su cui si spalma tutta la storia di Jesus of Suburbia, St. Jimmy e Whatsername, che cercano, a loro modo, di contrastare la politica propagandistica pro-guerra rappresentando, al tempo stesso, delle icone ribelli che hanno fatto da specchio per molti Millennials.
Dopo l’11 settembre Bush inizia una pericolosa retorica di “liberazione dal male” nel parlare della guerra contro l’Iraq, fa riferimento alle crociate e adotta un linguaggio religioso che mette una maschera di santità a un atto di violenza. I media, dal canto loro, sostengono la linea di Bush infatuando, con discorsi di grandezza, una massa apparentemente incapace di pensare con la propria testa.
È contro questa realtà che si schierano i Green Day di American Idiot, denunciando le scelte politiche e l’alienazione della massa che le sostiene. Armstrong crea una storia con tre anti-eroi che cercano di dare una loro risposta alla situazione e due categorie, i Faggot e l’American Idiot, che rappresentano rispettivamente una possibile soluzione e un modello da cui scappare.
Quest’ultimo gruppo è introdotto dalla title track in apertura all’album. L’American Idiot si fa abbindolare dalla propaganda dei media, crede ciecamente ai discorsi politici senza guardarli con spirito critico, si lascia consolare dalle metafore religiose per ripetersi di star supportando un’opera di bene e non un’oppressione indifendibile. È anche il nemico per eccellenza: “Don’t wanna be an American Idiot” è la dichiarazione senza se e senza ma con cui Armstrong apre l’intero album, un’affermazione assertiva e immutabile.
Con Jesus of Suburbia ci viene presentato il protagonista, un adolescente nato da una famiglia distrutta e confinata nella periferia che, nel 2004, è l’icona in cui molti fan si sentono rappresentati. Lo sbalzo da uno stato emotivo all’altro, tipico dell’adolescenza, si riflette nel passaggio da una sezione all’altra della suite che, nei suoi 9 minuti, ci fa passare dalla rabbia alla rassegnazione, dalla voglia di cambiare alla tristezza. Alla fine, Jesus scappa dalla periferia per approdare nella più grande città, in cui spera di trovare risposte o, perlomeno, ascolto.
Holiday è l’inno dell’ultima categoria di personaggi presentata, i “Faggot”. Sono i pacifisti che lottano contro la guerra e portano avanti la loro ribellione in maniera forse un po’ ingenua (“I beg to dream and differ from the hollow lies / This is the dawning of the rest of our lives / On holiday), ma, probabilmente l’unica possibile.
Con Boulevard Of Broken Dreams assistiamo alla camminata solitaria di Jesus nella grande città. L’imponente strada diventa per il nostro protagonista una specie di specchio attraverso cui guardare se stesso e rendersi conto di essere davvero solo, dopo aver lasciato una casa che non sentiva tale e una fitta rete di bugie che lo circondava.
Dopo la disillusione – “the Jesus of Suburbia is a lie” –, Jesus incontra St. Jimmy, presentato come l’eroe che salverà tutti dall’ipocrisia della politica e della società. St. Jimmy è un ribelle, aggressivo e travolgente, ma può anche essere il nuovo nome che Jesus si dà una volta entrato nella metropoli. È la sua nuova identità: dal martire della periferia diventa il santo che guiderà la rivolta nella città.
Fra il cemento e l’asfalto, Jimmy accompagna Jesus verso l’oblio: Give Me Novocaine è un sommesso grido d’aiuto, un pianto di dolore che chiede di mettere fine alla sofferenza con la droga. L’alienazione e l’apatia non sono stati cui aspirare, ma sembrano a volte l’unica via possibile per fuggire da una realtà ben più orrenda.
È proprio in mezzo a questa nube che arriva Whatsername. Anche lei, come St. Jimmy, è una ribelle e una santa, un giustiziere destinato a guidare la rivoluzione. La conosciamo in She’s A Rebel ed Extraordinary Girl, e in quest’ultima la vediamo in contrasto con St. Jimmy: lui avvolto dall’apatia e paragonato a un bambino senza coraggio; lei la ragazza straordinaria che piange e vende solo un’immagine di sé, forse l’unica con cui crede di poter essere accettata.
Ma questa bolla viene presto distrutta dalla realtà detonante. In Letterbomb torna il protagonista, solo e abbandonato, perché tutto ciò in cui credeva è scomparso: le ribellioni sono finite e Jesus of Suburbia e St. Jimmy si rivelano mere fantasie. Il nostro adolescente non è, infine, né un martire né un santo, ma solo un uomo.
Wake Me Up When September Ends ci riporta al tema della guerra nel modo più brutale, con il dolore che provoca la morte di un soldato in battaglia e il senso di impotenza di fronte ai ricordi e al tempo che passa inesorabile. Dopo la morte in guerra e la morte della rivoluzione, Jesus è lasciato senza speranze: ha iniziato un lavoro da impiegato insoddisfacente, St. Jimmy si è suicidato – una metafora del suo alter ego che lascia la scena perché disilluso? – e Whatsername se n’è andata. Gli unici barlumi di speranza che lo tenevano lontano dall’apatia sono scomparsi e a lui non resta che tornare a casa, in quella stessa periferia da cui era scappato. Però, anche se al di fuori di essa non ha trovato un nuovo posto da chiamare “casa”, le figure che ha incontrato gli hanno fatto conoscere una realtà e delle possibilità nuove, diverse, che portano, comunque, speranza.
Attraverso la storia e i personaggi che la popolano, American Idiot fa delle dichiarazioni forti e articola una risposta più complessa attorno alla rivoluzione: se St. Jimmy e Whatsername finiscono per lasciare la scena senza raggiungere di fatto il loro scopo, la loro ribellione – violenta, aggressiva, turbolenta – non può essere la risposta a quanto si sta vivendo. L’apatia cui si lascia andare Jesus è forse il frutto della delusione derivante dalla consapevolezza che la rivoluzione è fallita, ma anche questa non è una risposta, bensì un pericolo: è così che perde Whatsername e finisce per fare un lavoro d’ufficio che lo priva di tutta la passione.
Allo stesso modo, il fatto che a soccombere siano sia Jesus of Suburbia che St. Jimmy è indicativo perché, anche riprendendo i discorsi di Bush con un tocco di ironia, dimostra che non abbiamo bisogno di martiri, santi o messia. Quello che serve alla società è l’uomo, anche sognatore, che ha il coraggio di pensare con la propria testa e distaccarsi dalla massa di “American Idiot”. Dopotutto, sulla copertina dell’album si vede una mano che stringe una granata a forma di cuore: la violenza non può essere l’unica risposta alla violenza ma, allo stesso tempo, una forma di ribellione al sistema è necessaria, per far sentire la propria voce e scuotere, si spera, chi ha spento la sua da tempo.
Così, a vent’anni di distanza, American Idiot ci fa emozionare e riflettere. Siamo ancora Jesus, con la voglia di lottare e la disillusione a frenarci. Ma siamo anche pieni di dubbi: come si alza la voce contro una società che non ascolta e non interviene? Come si trova il proprio posto in un mondo che non ha voglia di vedere? Qual è la giusta risposta alla violenza? Con American Idiot, i Green Day hanno dato almeno una risposta che, seppur non risolutiva, è un grande passo avanti per molti: chi non condivide il pensiero dominante e vive ai margini della società non è solo anche se si sente abbandonato, perché da qualche parte, nel mondo, c’è una band e i suoi fan che condividono lo stesso pensiero e la stessa sensazione di essere reietti, sognatori, disillusi e disperati, ma di vedere sempre, finché si è insieme, un barlume di speranza nel futuro.
Fonti:
– Long, Lacey B. (2009), American Idiot to the “American eulogy”: Green Day’s rock operas as apocalyptic political protest during the George W. Bush administration