Layne staley: lettera al ragazzo che voleva volare

Caro ragazzo che voleva volare, fuori piove, il mio umore non è dei migliori, e come spesso…

Caro ragazzo che voleva volare,

fuori piove, il mio umore non è dei migliori, e come spesso succede quando sento di star per essere inghiottito dai miei piccoli drammi quotidiani metto su un tuo disco e penso a te. Mi torna in mente di quando ti ho visto per la prima volta e di come mi sia venuto spontaneo chiedermi chi fosse quel ragazzo pettinato come Telespalla Bob che urlava fino al cielo per chiedere a Cristo di negare il suo Creatore, aggrappato all’ asta del microfono come se fosse il timoniere di un vascello pirata impegnato a dominare un mare in tempesta.

L’ avrei scoperto più tardi, quando ho saputo della separazione dei tuoi genitori, di come avessi sofferto per un padre che ti aveva dato il suo nome ma non il suo amore, e che quando eri piccolo se ne andò lasciando tu e tua madre da soli; ma anche della tua passione per la musica, dei primi concerti visti insieme a quelli che sono diventati il tuo papà e il tuo fratello adottivo, del tuo amore per i dischi dei Van Halen, degli Anthrax, dei Black Sabbath e dei Judas Priest, che ascoltavi a volume altissimo per provare a distrarre la tua mente dai pensieri malevoli che ti hanno tormentato tutta la vita e che contemporaneamente ti hanno dato l’ idea di provare a toccare anche tu come i tuoi idoli il cielo e di costruirtele, quelle ali a cui così tanto anelavi.

Ma ad ogni costruttore serve un progettista, e tu hai trovato il tuo in un coetaneo dai lunghi capelli biondissimi, che suonava la chitarra come se il segugio infernale fosse sulle sue tracce e con cui ti ritrovasti a dividere una stanza nelle sale prove Music Bank di Seattle dove il proprietario ti aveva dato ospitalità dopo che tua madre, dopo l’ ennesima lite, ti aveva cacciato di casa. Il suo nome era Jerry Cantrell.

Come te, Jerry ha avuto fino a quel momento una vita disperata, costellata da lutti familiari e caratterizzata dall’ assenza del padre segnato dall’ esperienza in Vietnam, e questo si percepisce chiaramente nelle canzoni che avreste prodotto insieme negli anni della maturità degli Alice in Chains sia a livello musicale – ampio uso di dissonanze nelle armonie dei brani, strutture non usuali e molto originali nel panorama rock dell’ epoca, sonorità fangose e profonde con gli strumenti spesso accordati in drop D, perdonami questa digressione geeky – che a livello lirico, con testi che toccano la dipendenza, la disperazione, l’ abbandono in una forma poetica che si avvicina idealmente al decadentismo per il tatto e la ricchezza di immagini con cui vengono trattati temi complessi e intimi.

La cosa che mi ha sempre colpito di te è che tu veramente sembravi fregartene di tutto questo circo della musica rock e dell’ immagine con cui il pubblico ti avrebbe percepito: non ti sei mai lasciato facilmente andare a qualche genere di Jesus Christ pose, sul palco eri un fascio dì nervi ma quasi immobile, e concentravi tutto il disagio da cui eri perennemente afflitto strillando nel microfono con la tua voce ruggente, dall’ estensione incredibile sia verso l’ alto che verso il basso ma mai perdendoti in virtuosismi inutili o al contrario in deliberate scorribande nell’ atonalità perché “ehi, sono punk”. Rispetto ai tuoi colleghi dell’ epoca d’ oro del grunge Chris, Eddie e Kurt avevi un timbro ancora più originale, quasi nulle le influenze da golden god, da working class hero o da garage rocker, e queste particolarità creavano una combinazione perfetta con le caratteristiche più angeliche della voce del tuo contraltare Jerry, con cui avete sperimentato alcune delle più avventurose armonizzazioni vocali nella storia della musica rock, una sorta di Simon & Garfunkel sballati e disperati.

Dopo il primo disco Facelift del 1990 e un tour come opening act per gli amati Van Halen sembrava che tu avessi finalmente percorso i primi gradini della tua personalissima scala verso il cielo, ma è proprio in questo periodo che conoscesti l’ amica crudele che ti avrebbe accompagnato fino alla fine della tua esistenza terrena, l’ eroina. Nè il successo mondiale di Dirt nel 1992, nè i vari tentativi di riabilitazione iniziati e sempre abbandonati, così come il supporto dei tuoi compagni di band sarebbero riusciti a separarti da questa amante infida e pericolosa, complice anche la relazione tossica con quello che è stato l’ amore della tua vita Demri, anch’ ella junkhead e personalità fragile che troppo presto avrebbe trovato la sua fine e in questo modo segnato la tua.

Dopo aver ufficiosamente abbandonato gli Alice in Chains nel 1998, hai trascorso i tuoi ultimi anni di vita completamente isolato dal mondo, chiuso in un appartamento della periferia di Seattle dove passavi le giornate a giocare ai videogiochi e sperimentare con le droghe, lontanissimo dal mondo della coolness che viene associato di solito alle grandi rockstar. I pochi che ti hanno visto in quel periodo raccontano di come tu fossi diventato l’ ombra di te stesso, smagrito ed emaciato, senza più quella luce negli occhi che ti ha caratterizzato nella tua vita precedente.                                                                                Quelle ali ti erano state definitivamente negate.

Te ne sei andato il 5 aprile del 2002 dopo un’ overdose di speedball, avevi solamente 35 anni. Chissà se stava piovendo quando hai guardato il mondo terreno per l’ ultima volta come avevi profetizzato in una delle tue canzoni.

Caro ragazzo che voleva volare a cui le ali sono state negate, concludo con quello che vuole essere un bagliore di speranza: sii felice quando ripensi alla tua vita ormai passata. Anche se attraverso il dolore sei riuscito a donare quelle ali che avresti voluto per te a tutti coloro ai quali la vita l’ hai salvata con la tua musica. Non è cosa da poco essere immortali.

Alberto Pani

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Alberto Pani

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Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia