Who’s afraid of the big bad wolf?

Pulp Fiction compie 30 anni e con lui la sua colonna sonora.  Silver lining in un mondo…

Pulp Fiction compie 30 anni e con lui la sua colonna sonora. 

Silver lining in un mondo di cinema commerciale d’azione 90s, manifesto e denuncia di perversione e violenza, colonna portante di un genere che vide i natali nel posto giusto al momento giusto. 

Per coloro che non lo avessero mai visto, trattasi di un intreccio di storie e personaggi che compaiono e riappaiono in diverse sequenze, in ordine sparso. La trama si sviluppa attraverso flashback disordinati che, in vari episodi, ricostruiscono gradualmente gli eventi principali, per poi concludersi tornando al punto di partenza. 

– E sai come chiamano un quarto di libbra con formaggio a Parigi?
– Non “un quarto di libbra con formaggio”.
– Hanno un sistema metrico decimale: non sanno che cazzo sia un quarto di libbra.
– E come lo chiamano?
– Lo chiamano “Royale con formaggio”.
– “Royale con formaggio”! (Pulp Fiction) 

È proprio da qui che si dispiega un vero e proprio dualismo per coloro che conoscono entrambe le facce della medaglia. Gli USA per quello che sono e gli USA come invece appaiono agli occhi del mondo. The American Dream, la nuda e cruda realtà delle strade secondarie e le vicende della vita vera che, agli occhi di un ordinario lettore di questo blog, apportano un tocco di dramma cinematografico che tanto cinematografico non è. Perché da quelle parti tutto è esagerato, nella realtà come sulla pellicola. 

Strumento potentissimo a sostegno della trama sono i brani minuziosamente scelti per la colonna sonora, che diventano essi stessi protagonisti della storia e della fama di questo mostro sacro del cinema americano. Ed è proprio la musica che, facendo da protagonista, assume diverse funzioni.  

La funzione più ovvia è sicuramente quella di presentare il mood della trama, dei personaggi e di ciò che li rende cuore pulsante del metaverso suburbano della famosa Città degli Angeli. 

Nella prima scena compaiono Ringo “Zucchino” e Jolanda “Coniglietta” intenti a progettare una rapina nel ristorante in cui stanno mangiando: dopo aver raccolto la motivazione necessaria a portare a termine il lavoro, i due tirano fuori le pistole e la chitarra di Dick Dale parte. É Misirlou a fare da apripista e a dettare le aspettative del pubblico. Chitarra surf, che più surf non si può, colma di quel ginepraio di intrighi descritti attraverso corde ipnotiche e un pianoforte cristallino, che fanno stringere le gambe quanto basta per indugiare nell’eccitazione crescente di tutto ciò che sta per capitare.  

Appena dopo, Jungle Boogie introduce i personaggi di Vincent Vega e Jules Winnfield. Ritrae questi animali sociali della giungla urbana di Los Angeles alle prese con diverbi su miracoli e lavoretti non proprio pulitissimi, dove il get down del brano manifesta il loro stile di vita, piuttosto che rivolgere un invito ai gentili teleascoltatori. 

L’eroina di Vincent Vega è accompagnata da Bullwinkle Pt. II che scorre prepotente ma benevola nelle vene. La trance è introdotta dal basso che narra quella tendenza di noi umani a finire sul fondo. Il ride della batteria porta avanti il compito di tenerci in vita, lasciandoci comunque in grado di percepire gli alti e i bassi della fattanza che si materializzano in soli di sax e chitarra. 

Son of a Preacher Man presenta Mrs Mia Wallace, magnifica creatura che attraverso le note di questo brano si carica di ingenuità e malizia. Malizia che portò Aretha Franklin a rifiutare di interpretare questo brano scritto da John Hurley e Ronnie Wilkins, da lei considerato di cattivo gusto siccome figlia di un predicatore. Il brano diventò dunque cavallo di battaglia di Dusty Springfield, figlia di contabile, che probabilmente non aveva particolari problemi a farsi un son of a preacher. 

Senza dimenticare il brano della gara di ballo del Jack Rabbit Slim’s: apparentemente leggera ed innocua, come l’occasione per la quale entra nella vicenda di Mia e Vincent. Il brano è preceduto da silenzi confortevoli e pietanze che compaiono al ritorno da una capatina al bagno ad incipriarsi il naso (sniff), ma You never can tell riassume la filosofia di Pulp Fiction, colma della narrativa che ha la funzione di ricordarci che nulla è scontato e tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro. 

Ulteriore funzione della musica sembra essere quella di introdurre o meno un intervento di natura divina. Musica diegetica ed extradiegetica si alternano, determinando rispettivamente volontà, sentimenti e speranze dei personaggi contro la distribuzione e sottrazione del favore degli dèi nei loro confronti.  

E così le divinità del Pulp stabiliscono le sorti di Mia Wallace, che scopre di essere diventata donna (con tutti i pro e contro del diventare adulti) sulle note di Girl, You’ll Be a Woman Soon, che ci mostra quanto allettante sia diventare grandi. Come quella striscia di cocaina che però, a causa dell’ingenuità che caratterizza il rito di passaggio all’età adulta, si rivela una pippata di eroina seguita da un rigolo di sangue dalle narici di Mia, che sfuma assieme al finale del brano.  

Più in avanti gli dèi del Monte Pulp si intromettono nelle vite di Butch Coolidge e Marsellus Wallace. Tra imprevisti e recuperi miracolosi Butch torna vittorioso verso il motel dove lo aspetta la sua Fabienne. Sicuro di aver scampato la sorte che lo aspettava per mano di Vincent Vega, Butch canticchia Flowers on the Wall che passa alla radio, quando incontra inaspettatamente proprio Marsellus, che gli attraversa la strada con due caffè in mano. Ed è così che il dio Tarantino narra e detta le sorti dei due, in un rapido passaggio di inquadrature e versi che emulano un dialogo mentale tra i due personaggi che si riconoscono, concludendo la scena con la constatazione – a sfondo musicale – relativa al fatto che le scarpe di Marsellus non siano avvezze al duro cemento. 

E Mr. Wolf? Mr Wolf Arcangelo stacca la puntina dal disco, si leva le cuffie e poi? Che fa?  

Come in cielo, così in terra. Si alza, si lava e indossa il suo completo impeccabile. Mr Wolf Arcangelo raccoglie informazioni e porta novelle. Impartisce istruzioni e gestisce le crisi in modo semplice e pulito. Dettagliato. E il silenzio accompagna il miracolo finale. Paradossalmente il miracolo più pratico: Bonnie, anzi The Bonnie Situation 

Preceduto dai miracoli di Jules, dal miracolo di Mia, di Butch e di Marcellus, ora si presenta quello da che Dio ce ne scampi. Concetto, quello di miracolo, al quale credevano tutti, nonostante permanessero in una situazione sociale borderline e nonostante la violenza fosse elemento costante nelle loro vite. Concetto o entità dal quale Vincent venne solo sfiorato quando dovette controllare il contenuto della valigetta. Perciò Vincent apre lo scrigno, rompe il sigillo (666), ne osserva il contenuto. La sua reazione è solenne. Meraviglia mista a preoccupazione, condita con un po’ di ignoranza, caratteristica di coloro che non scavano abbastanza alla ricerca della propria anima, spesso troppo presi dalla quotidianità. 

Nel frattempo, Mr. Wolf ha finito il suo lavoro. Fornisce a Vincent e Jules le ultime indicazioni pratiche, gli predice un viaggio di ritorno in taxi e va a godersi la serata con la sua pupa. 

Dopo cena e dopo chissà quanti altri miracoli, Mr. Winston Wolf torna ai piani alti. Osserva la scena dall’alto, consapevole di aver fatto quanto necessario per adempiere al suo dovere.  

E così torniamo di nuovo al punto di partenza, al ristorante dove Zucchino e Coniglietta avevano appena messo in atto il loro piano. La prima scena, quella della rapina a mano armata. Vincent è in bagno (come è solito capitare nei momenti più importanti) e si perde la Parola di Jules, evangelista sopraffino, dispensata alle anime perse. Poi Vincent torna, il Bad Mother Fucker dovrà fare una capatina a prelevare, ma la valigetta è salva. 

E così, gestita la crisi, Mr Wolf riabbassa la puntina del suo giradischi e incalza Surf Rider, un brano strumentale che porta con sé tutta la confidenza di un epilogo onesto o perlomeno equo. La scena perfetta in cui un personaggio risolutore si allontana con tranquillità dall’esplosione alle sue spalle.  

Insomma, una storia di anime, di miracoli e di fede che sono parti integranti di un mondo neglected, abbandonato. Film che gioca con le emozioni che scorrono nelle vene attraverso la musica, Pulp Fiction rimane una di quelle pellicole profondamente intrecciate alla colonna sonora, minuziosamente selezionata e sincronizzata ad ogni sentimento, personaggio e miracolo.

Grace Sellitto

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Alberto Pani

Blogger

Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia