“piccoli potentissimi ricordi”
A poco più di un mese dalla scomparsa di Paolo Benvegnù, una serie di ricordi di un autore delicato e potente
Succede che la sera prima c’è, lo vediamo ospite di una trasmissione tv – cosa più unica che rara – e il giorno dopo, invece, non c’è più.
Muore, lasciando tutti sgomenti, perché la morte è così, non avvisa e non rispetta i tempi della comprensione umana (proprio domani, 14 febbraio, avrebbe compiuto 60 anni).
Muore proprio l’ultimo giorno del 2024, quel 2024 che gli ha regalato grandi soddisfazioni, e che ci ha regalato la riedizione del suo primo album “Piccoli fragilissimi film – Reloaded, uscito ben 20 anni fa (e ora arricchito con nuove collaborazioni e tre inediti).
Il 2024, poi, è l’anno del premio Tenco come miglior album in assoluto con: “E’ inutile parlare d’amore”.
Premio per il quale, scettico e incredulo, intervistato dirà: “sono nella stupefazione più assoluta”.
Stupefazione.
Perché la scelta delle parole per Paolo Benvegnù non era mai casuale, aveva sempre un peso specifico importante.
Parole dense, sentite e ricercate, sono diventate la cifra stilistica dei suoi testi e della sua musica, che, proprio per questo, forse non ha saputo (e voluto) emergere fra le masse, nonostante la carriera trentennale e le numerose collaborazioni.
Fondatore dapprima del gruppo degli Scisma (in attività tra 1993 e il 2000), seguita da un lungo percorso da solista, Paolo Benvegnù non è mai diventato un nome “mainstream”, restando fedele alla sua natura indipendente, che sicuramente, però, non gli ha dato la risonanza e i riconoscimenti che avrebbe meritato.
Quello che più stupisce sentendo le parole e le interviste di Paolo, è la sua “eccessiva umiltà”, quella che l’ha fatto restare sempre un po’ in penombra rispetto ad altri suoi colleghi, come se fosse lui stesso a preferire di stare in un angolo piuttosto che al centro della scena.

Colleghi musicisti a cui lui dava estrema importanza, mettendo il cuore in tutte le sue collaborazioni, che sono state numerose, forte di questo sostegno alle alleanze artistiche, promotore da sempre della purezza della condivisione piuttosto che della “cinica utilità”.
Nella sua ultima intervista dice: “io trovo utilissimo vedere i bambini correre nei prati, non portano denaro, ma portano gioia”
Ecco, credo che questa frase racchiuda l’essenza di un musicista, che in vita non ha conosciuto tutto il successo che meritava, e forse non lo farà neanche adesso, dopo la sua prematura scomparsa, perché Benvegnù non è per tutti, e non lo sarà mai, proprio perché la poesia è così (e, forse, meno male).
Chi, però, è riuscito a innamorarsi della sua musica, non avrà bisogno di sforzi per ricordarlo.
Proprio per questo ho chiesto a due amici musicisti, Michele Zilioli (cantante de “Il peggio è passato”, fan dai tempi degli Scisma) e Guido Maria Grillo (cantautore che ha collaborato a stretto contatto con Benvegnù), di raccontarmi qualche aneddoto sul Paolo visto attraverso i loro ricordi.
– Io: Michele cosa hanno rappresentato per te gli Scisma prima e Benvegnù poi?
– Michele:
Gli Scisma erano diversi.
Parliamo di una band che all’epoca delle prime pubblicazioni indipendenti di metà anni ’90, aveva in formazione 3 attori in aggiunta ai musicisti tradizionali e, quando questi abbandonarono, la formazione si stabilizzò includendo tre donne, una cosa assai anomala a quel tempo.
Avevano un mood tutto loro, innocenti e intellettuali, liberi, anche troppo, per quelle che erano le loro ambizioni di successo, giocavano con il verbo, sperimentavano con rock, pop, psichedelia e avevano un affascinante dualismo vocale, in cui la grazia soave di Sara Mazo andava a bilanciare l’austerità di Benvegnù.
Quando comprai “Rosemary Plexyglass” (1997) fu una rivelazione: nonostante la produzione non ottimale di Manuel Agnelli, quello che mi travolse fu una cascata di idee.
C’erano ancora le chitarre sature dell’alternative rock di quegli anni, ma quanto stupore in mezzo a quelle aperture melodiche celestiali e alle continue e numerose deviazioni.
Poi venne Armstrong (1999), che godette della produzione artistica di Giovanni Ferrario, album in cui gioieili pop come “Tungsteno”, “L’innocenza”, “Troppo poco intelligente” e “Good morning” convivevano con le divagazioni psichedeliche di “I’m the ocean”, “E’ stupido”, o con il blues onirico della title track.
Zittite le chitarre aggressive, si moltiplicavano le fughe psichedeliche e le melodie pop, mentre all’uso dell’italiano si aggiungevano quelli dell’inglese e del francese.
Un disco coraggioso, probabilmente di transizione, il cui mancato decollo sentenziò la fine della band e lo sgretolarsi di un sogno.
Sempre in linea con la loro diversità, a tre anni dallo scioglimento, gli Scisma tennero un concerto alla Flog di Firenze, il 10 maggio 2003, una sorta di addio posticipato, o di reunion anticipata, se volete. Anche se quella vera fu nel 2015, con la pubblicazione dell’E.p. “Mr. Newman”: 6 tracce nuove che includono l’ennesimo gioiellino pop di Benvegnù, quella “Musica elementare” che, in pochi accordi e minuti, riassume in tutta semplicità il meglio della sua scrittura.
Io partecipai alla data alla Latteria Molloy di Brescia e fu bellissimo: nell’aria tanta magia, tanto amore e un’emozione fortissima che travolse e unì tutti quanti da sopra a sotto il palco.
La prima volta che rividi Benvegnù post Scisma fu nel 2012, al Materia Off di Guido Maria Grillo, a Parma, quando l’intimità del locale ci permise di entrare davvero in sintonia col personaggio, che ci intrattenne a lungo tra brani sofferti, alternati a intermezzi da vero giullare con tanto di sketches e barzellette. Fu un’esperienza decisamente incisiva. Gli Scisma mi mancavano e mi sarebbero mancati sempre, ma fu veramente rassicurante ritrovare lui.
Proseguiamo proprio con il ricordo di Guido Maria Grillo, delicato e profondo musicista, che ha avuto l’onore sia di averlo ospite nel suo bellissimo teatrino/locale – il Materia Off citato pocanzi – sia di condividere con lui il palco del tour capitanato da Giancarlo Onorato.
Andarono in giro tra le fine del 2012 e Marzo 2013, portando ognuno dei propri pezzi, oltre a delle cover che appartenevano al loro mondo di provenienza; girarono per il Nord e Centro Italia, facendo una quindicina di date, l’ultima delle quali nello storico Bloom di Mezzago.
Qui un ricordo video proprio di quella data :
- Guido racconta:
“Ricordo la grande umanità, affettuosità, ed umiltà di Paolo, sempre generosissimo sul palco, e non.
Penso, in particolare, a quel giorno in cui lo attendevamo a Parma per delle prove (credo fosse febbraio 2013) e arrivò dalla Slovenia, dove era andato qualche giorno prima per registrare un disco.
Viaggiò di notte con la sua malandata Renault Scenic grigia e, sotto un acquazzone biblico, forò una ruota in autostrada.
Sostituendola, da solo e sotto la pioggia battente, si fece male con un colpo al crick.
Arrivò a Parma zoppicante, con un sorriso contagioso, una calma serafica e una caviglia tanto gonfia da non riuscire a stare in piedi, trascinando a fatica il suo nuovo Laney valvolare.
Con la leggerezza con cui raccontò quell’odissea, senza saperlo, mi insegnò a dare il giusto peso alle cose, a ridimensionare i problemi, a placare l’ira e il disappunto.
Da allora, lo giuro, ogni volta che mi accingo a inalberarmi per questioni effimere, penso “come reagirebbe Paolo Benvegnù?”.
Da lui ho imparato anche a imbracciare la chitarra con la necessaria fierezza e alla giusta altezza, e, poi, l’atteggiamento fisico davanti al microfono.
L’ho imparato standogli a fianco sul palco, guardando come si gonfiava il petto mentre la sua voce esplodeva, ammirando il vanto e la potenza della sua esposizione. Da allora, ogni volta che sto per salire sul palco, mi prometto di imitarlo, giuro, nel tentativo di avere sul pubblico lo stesso impatto che ebbe su me.
A dire il vero Paolo mi manca già da molti anni, e ora che ho la certezza di non vederlo più, la mancanza si fa dolore profondo.
Infine girando per il web alla ricerca di materiale per questo articolo, sono incappata nel video di Marco Olivotto (musicista, produttore, ma soprattutto amico fraterno di Paolo), un ricordo che mi ha letteralmente spezzata in due, per la sincera emozione che trapelava, neanche troppo velatamente.
Con gli occhi lucidi ho provato a scrivere a Marco, che con enorme gentilezza si è reso subito disponibile a condividere con me questo ricordo esclusivo e incredibilmente emozionante: un pezzo inedito degli Scisma.
La canzone venne inserita come seconda traccia dell’album “Samsara” del mio gruppo (TNR), il secondo della nostra storia. Il CD venne pubblicato nel 1994 da Mellow Records. “Il crollo” era un frammento tratto da una lunga suite di brani, che caratterizzava i concerti degli Scisma prima del loro approdo alla discografia ufficiale, ma non era entrato nella loro prima demo “Pezzetti di carta”, che io avevo registrato e prodotto: immagino che sia stato composto poco dopo, perché quella demo venne realizzata nell’estate 1993 e io lo sentii meno di sei mesi più tardi. Il brano non finì neppure nel primo album, “Bombardano Cortina” e, a quanto ne so, questa versione è l’unica registrazione che mai sia stata pubblicata. Io lo ascoltai in occasione di un concerto in cui c’era anche la mia band, nel mese di dicembre 1993, e chiesi subito a Paolo di inserirlo nel disco che avevo appena ultimato di registrare. Aprii di nuovo la registrazione pur di farlo, e di fatto si trattò di una produzione-lampo fatta da me e lui soli nel mio studio, che all’epoca si chiamava The Noisy Room. La produzione richiese un pomeriggio in totale. La versione originale del brano è quella in italiano, e l’accordo fu che lo avremmo realizzato in maniera bifronte, in due lingue, con il testo italiano affidato alla sua voce e quello inglese, da me tradotto, alla mia. I miei credits d’autore in realtà non sono dovuti: Paolo mi volle riconoscere arrangiamento e traduzione, ma la composizione è al 100% sua.
Qui di seguito, questo inedito – “il Crollo – the Breakdown” – che, dalle parole e dall’atmosfera, si adatta incredibilmente a essere come un messaggio di abbandono e addio e, proprio per questo, diventa ancora più commovente.
Grazie ancora a Marco Olivotto per la sua sconfinata generosità nell’averlo condiviso, e per avermi ricordato che, nonostante tutto, le cose belle possono accadere, soprattutto se a muoverle sono energie potenti!
Silvia Botte