Il Principe Libero – L’alfabeto del rock racconta Fabrizio de Andrè

È il 1940. Tra i momenti più bui che il nostro Bel Paese abbia mai vissuto. L’Italia…

È il 1940. Tra i momenti più bui che il nostro Bel Paese abbia mai vissuto. L’Italia è sotto regime fascista. Vogliamo raccontarvi di un uomo nato in quei giorni, un uomo che di quelle strade e di quella gente ne ha fatto parole e musica, un uomo che è riuscito a raccontare nelle proprie canzoni lo sconforto, la rabbia e l’amarezza di questo mondo, colui che diverrà il poeta degli sconfitti, il più grande tra i cantautori italiani ed europei del Novecento. 

Fabrizio nasce il 18 febbraio 1940 a Genova, in Via De Nicolay 12, da Luisa Amerio e Giuseppe De André, professore di lettere in alcuni istituti privati da lui diretti, amministratore delegato e presidente degli zuccherifici Eridania, consigliere comunale, assessore e vicesindaco di Genova per il Partito Repubblicano Italiano. Una persona di grande spessore. intellettuale, professionale ma soprattutto morale. 

Nella primavera del 1941 il professor De André, antifascista, vedendo l’aggravarsi della situazione in città a causa della guerra e ricercato dai fascisti per aver dato rifugio ad alcuni ebrei nella sua scuola, decide di acquistare, nei pressi di Revignano d’Asti, la Cascina dell’Orto dove Fabrizio trascorre trascorrerà parte della propria infanzia con la madre ed il fratello Mauro, maggiore di quattro anni. Ed è proprio lì che Fabrizio, bambino, conosce ed impara tutti gli aspetti della vita contadina. Sviluppa una forte empatia per le persone genuine del luogo, che di conseguenza si affezionano a lui.

Quel breve periodo fu sicuramente uno dei più importanti e formativi per la personalità di De Andrè: condusse una vita libera, spensierata, a contatto con la natura e gli animali. Alcuni incontri sono determinanti: come quello con la piccola Nina Malfieri, la bambina con cui giocava da piccolo, o Emilio e Felicina Fassio che si occupavano di curare la gestione della cascina, dei raccolti e del bestiame. Rimarranno fonte di rimpianto e di ispirazione fino alla sua ultimissima produzione. Nella Cascina dell’Orto Fabrizio riconosce la sua perfetta dimensione. Un luogo ricco di aria pulita, sentimenti genuini e, soprattutto, libertà. Ed è proprio qui che sviluppa i primissimi interessi per la musica.

Nel 1945, finita la guerra, i De André tornano a Genova. Tutta la famiglia è entusiasta di tornare in città e alle comodità che comporta. Il piccolo Fabrizio no. Per lui è straziante rinunciare alla campagna per tornare alla vita di città, abituato a correre libero nei prati, vivendo a pieno la vita contadina e imparando dalla gente del posto non solo il mestiere, ma soprattutto l’amore per la terra. Iniziava a profilarsi un animo genuino legato all’autenticità delle cose, un bambino gentile che fin da piccolo non sopportava le ingiustizie e le sofferenze della gente. Come ogni volta che incontrava un mendicante e obbligava la madre a fermarsi per donare qualche moneta. Emerge dall’infanzia la spontaneità e l’istinto di solidarietà di quello che poi sarà un futuro anarchico.

Nell’Ottobre del 1946 il piccolo Fabrizio viene iscritto alla scuola elementare presso l’Istituto delle suore Marcelline (da lui ribattezzate simpaticamente “porcelline”). Il carattere non tarda a venir fuori. L’Insofferenza agli spazi ristretti, alla disciplina e ad un mondo di regole lontano centinaia d’anni dalla sua indomabile libertà. L’anticonformismo e la ribellione hanno la meglio su di lui e lo distinguono, a tal punto che i coniugi De André sono costretti a ritirare il figlio dalla scuola privata per iscriverlo ad una scuola pubblica: l’Armando Diaz. Affiora la forte ed innegabile predisposizione per la musica, e, con il sostegno dei suoi genitori, sempre presenti, inizia a studiare violino. Il maestro è Gatti, lo stesso che inquadra immediatamente Fabrizio come qualcuno di autentico.

Nell’estate del 1950, terminata la quarta elementare, Fabrizio trascorre l’ultima vacanza estiva a Revignano. Il professor De André aveva infatti deciso di vendere il cascinale e di acquistare un appartamento ad Asti. Fabrizio ne soffre moltissimo. Quel luogo magico per lui era un tempio di ricordi  d’infanzia, tra i più preziosi e da custodire gelosamente. E a questo punto Fabrizio si fa una promessa: una volta diventato grande, avrebbe ricomprato il cascinale.

Nell’Ottobre del 1951 Fabrizio inizia le medie. È attratto dal gioco e dalla vita di strada, il suo spirito ribelle non mostra minimamente interesse allo studio, tanto da rimediare una bocciatura in seconda. Il padre, su tutte le furie, decide allora di affidarlo ai rigidissimi gesuiti della Arecco, un istituto frequentato da tutti i ragazzi della Genova bene. Qui Fabrizio è vittima di un tentativo di molestia sessuale da parte di un gesuita dell’istituto. Ha 11 anni e, nonostante l’età, la reazione verso il “padre spirituale” è pronta e soprattutto chiassosa ed ha un’eco degno di una bomba al plutonio, tanto da indurre la direzione a espellere il giovane De André, pur di placare lo scandalo ed insabbiare quanto prima la spiacevole vicenda. A causa dell’ingiusto provvedimento di espulsione, viene a conoscenza dell’episodio il padre di Fabrizio, esponente della resistenza e vicesindaco di Genova, che informa il Provveditore agli studi pretendendo un’immediata inchiesta, che terminerà con l’allontanamento dall’istituto scolastico del gesuita. Fabrizio terminerà le medie nell’Istituto Palazzi di cui il padre era proprietario. Il percorso scolastico di De André continua senza particolari profitti anche al liceo  A lui basta e avanza la sufficienza, nessuno sforzo ulteriore, la sua passione era sempre la musica. Da lì a poco la madre Luisa gli regala la sua prima chitarra. Fabrizio la porta sempre con sé, non la lascia nemmeno per andare in bagno. Comincia a prendere lezioni dal maestro colombiano Alex Giraldo iniziando a scrivere qualche canzone e cantarla.

Nella primavera del 1956 suo padre porta in dono dalla Francia due 78 giri di Georges Brassens. Dall’incontro col grande cantautore francese per Fabrizio si apre un universo. Traduce le canzoni ritrovando nel mondo cantato da Brassens la lotta contro l’ipocrisia della società e le convenzioni sociali, i personaggi umili e veri che vivevano nei caruggi della sua città, gli stessi che da lì a poco avrebbero trovato spazio, comprensione e dignità nelle sue canzoni. Si fortificano così  sempre di più le sue  idee anarchiche.

La passione per la musica cresce anche grazie alla sua scoperta del jazz e all’assidua frequentazione degli amici Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli, del pianista Mario De Sanctis ed altri, con i quali comincia a suonare la chitarra e a cantare nel locale La Borsa di Arlecchino. Passano gli anni e, compiuta la maggiore età, lascia la casa dei genitori. La causa probabilmente è il difficile rapporto con il padre, che rispetta molto come uomo, ma di cui non condivide determinate idee.

Arriva il diploma e decide di frequentare alcuni corsi di Lettere e altri di Medicina, prima di scegliere la facoltà di Giurisprudenza, ispirato dallo stesso padre, dall’amico d’infanzia Paolo Villaggio e dal fratello maggiore Mauro, già avviato agli studi in legge e che diverrà un noto avvocato. De André in questi anni conduce una vita sregolata, comincerà ad avere problemi legati all’abuso di alcool, in netto contrasto con le consuetudini della sua famiglia per bene, frequenta amici di tutte le estrazioni culturali e sociali viaggiando ovunque. La sua compagna è una prostituta, Anna, ovviamente con grande disappunto del padre. Insieme a Paolo Villaggio, che conduce lo stesso stile di vita fatto di eccessi, senza freni ed inibizioni, cerca lavori saltuari, anche imbarcandosi d’estate sulle navi da crociera come musicista per le feste.

Ben presto fu abbastanza chiaro che il futuro di Fabrizio doveva camminare su due binari: l’ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste e l’illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento nel mondo. La seconda si è sbriciola ben presto, la prima rimarrà con lui tutta la vita. A sei esami dalla laurea Fabrizio lascia gli studi e decide di intraprendere una strada completamente diversa da quella del fratello: la musica.

Nell’estate del 1960 arriva quella che considererà la sua prima vera canzone, La ballata del Miché, scritta insieme a Clelia Petracchi. Il pezzo richiama le melodie francesi di quei tempi. In un’intervista del ’93 De André racconta: “Se non l’avessi scritta, probabilmente, invece di diventare un discreto cantautore, sarei diventato un pessimo penalista”. Si notano i caratteri tipici della lirica di De André: tolleranza e rispetto, comprensione, l’implicita denuncia all’inappellabilità della legge e alla scarsa misericordia della chiesa: “nella fossa comune cadrà, senza il prete e la messa, perché d’un suicida non hanno pietà”.

Alla fine del giugno 1961 De André conosce Enrica Rignon, detta Puny. Enrica, grande appassionata di jazz, è una ragazza che ha quasi sette anni in più di Fabrizio ed appartiene a una delle famiglie più abbienti di Genova. Dopo qualche mese che i due si frequentano, Puny resta incinta, e diviene la prima moglie di De André. Nel 1962 nasce il figlio Cristiano. In seguito al matrimonio e alla nascita del figlio, il ventiduenne Fabrizio è pressato dalla necessità di avere un lavoro fisso per provvedere al mantenimento della famiglia, e trova impiego come vice preside in un istituto scolastico privato di proprietà del padre.

La svolta artistica arriva nel 1965 quando Mina interpreta una sua composizione, La Canzone di Marinella, che si trasforma in un grande successo e lo impone all’attenzione generale. Ma chi è Marinella? 

“Questa di Marinella è una storia vera”

Proprio così, è la storia di un fatto di cronaca nera dell’epoca, che Fabrizio lesse quando aveva 15 anni, e vede come protagonista una ballerina indotta alla prostituzione, che viene uccisa con diversi colpi di pistola e gettata nel fiume in un freddo inverno. L’evento colpisce ed emoziona così tanto il nostro cantautore che reinventa una vita diversa per Marinella, addolcendone la morte. Con crudeltà, tenerezza e rassegnazione, De André ci porta nell’incubo di Marinella, volata in cielo sopra una stella. 

Arrivano i primi considerevoli ricavi economici e, preso bagagli, moglie e figlio si trasferiscono in un quartiere chic di Genova. Chiusa la storia con la laurea e con tutto il resto. Da quel momento, Fabrizio prende coscienza che le canzoni l’avrebbero reso più libero, e indubbiamente più ricco. Nel 1966 vide la luce l’LP d’esordio Tutto Fabrizio De Andre che contiene brani come La ballata dell’amore cieco, la tragica storia di un Un uomo onesto, un uomo probo che si innamora follemente di una femme fatale di chiara ispirazione baudelairiana. La guerra di Piero dove l’ispirazione viene dalla figura dello zio del cantautore, Francesco. Il ricordo del suo ritorno dal campo di concentramento, i suoi racconti, il resto della vita trascorsa alla deriva, segnarono profondamente la sensibilità di Fabrizio, che in più occasioni si ricorderà di lui. 

Nella copertina di Tutto Fabrizio De André è inserito un testo che dice: 

“non è solo un personaggio, è tre personaggi in uno ed ha almeno cinque caratteri; noi non vogliamo, non sappiamo descriverlo in una posa convenzionale, lo dobbiamo consegnare vivo ed umano alla vostra considerazione.”

Al 33 giri fece seguito nel 1967 Volume I in cui spicca una delle gemme di De André: Via del Campo.  Era tra le vie più degradate della città, in una zona dove vivevano i ceti sociali più poveri e vi era una presenza massiccia di prostitute. Nella stessa canzone, viene presentata la figura di una prostituta che non viene offesa, ma descritta con parole nobili. Questo personaggio non vende il suo corpo come se fosse un oggetto, ma porge come dono la parte più preziosa di sé stessa. Successivamente vi è descritta la figura di una bambina, simbolo di purezza e di speranza nel degrado del luogo in cui si trova, un concetto che esprime fortemente quando recita le parole “Nascon fiori dove cammina”. Come ultimo personaggio viene presentata una seconda prostituta a cui, anche in questo caso, De André cerca di restituire quei valori che la società le negava, come l’amore. Fabrizio infatti canta “Se di amarla ti vien la voglia, basta prenderle la mano” con naturalezza, come se fosse una qualsiasi altra donna, da amare e rispettare. Conclude la canzone con un concetto che dovrebbe essere un comandamento della vita

 “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. 

Le tracce che seguono sono: Bocca di rosa una delle canzoni più rappresentative dell’autore, e Preghiera in Gennaio composta in occasione e a ricordo della tragica morte dell’amico Luigi Tenco, suicidatosi il 27 gennaio a Sanremo. Con questo album si aprì apre la stagione più prolifica della carriera di De André. A breve distanza uno dall’altro uscirono infatti Tutti morimmo a stento nel ‘68, Volume III, La buona novella,Non al denaro non all’amore né al cielo del ’71, firmato insieme con Fernanda Pivano, liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. 

De André scelse nove delle 244 poesie dell’opera originale e le trasformò in altrettante canzoni utilizzando però articoli indeterminativi in modo da poter far rispecchiare chiunque nei testi , estendendo a una totalità più vasta i profili. Tocca fondamentalmente due grandi temi: l’invidia con Un matto, Un giudice, Un blasfemo ed Un malato di cuore; e la scienza con Un medico, Un chimico e Un ottico.

Il 18 Marzo 1975 De André, che aveva sempre rifiutato il faccia a faccia col pubblico, esordì dal vivo nel locale simbolo della Versilia, “La Bussola”. Quando venne annunciato che Fabrizio De André avrebbe tenuto il suo primo concerto alla Bussola, fu uno choc per tutti. Lui che era il cantautore più schivo della scena nazionale e aveva sempre rifiutato di esibirsi in pubblico. Ma Fabrizio era un uomo allergico agli stereotipi, che rifiutava qualsiasi tipo di omologazione e amava sfatare i tabù. Poco prima del concerto fu preso dall’ansia ma poi uscì, si sedette su una sedia e dopo poche battute per rompere il ghiaccio, iniziò a suonare, e diede inizio a un concerto dalla profondità unica. Fu un successo incredibile. Esplosero le polemiche sui compensi: si parlò di 300 milioni per un tour di cento serate, una cifra enorme per l’epoca, come le 10 mila lire del biglietto d’ingresso. Erano i tempi delle violenze di piazza, dell’autonomia operaia e della P38. Il cantautore genovese non aveva mai fatto mistero delle sue convinzioni anarchiche e da poco era uscito Storie di un impiegato, fin qui il suo album più esplicitamente politico. Il valore musicale del disco viene riconosciuto solo negli anni ‘90, fino ad allora fu duramente criticato come criptico e confusionario. Anche anche dallo stesso De André, insoddisfatto di non essere riuscito a comunicare un pensiero chiaro.

Coi soldi guadagnati dai concerti dal vivo onora i suoi sogni e acquista finalmente la sua azienda agricola in Sardegna. Nel 1977, dall’unione con Dori Ghezzi (la cantante milanese alla quale si era legato dal 1974, dopo la separazione dalla prima moglie) nacque Luisa Vittoria, detta Luvi. Subito dopo uscì l’album Rimini scritto in collaborazione con Massimo Bubola. L’album presenta musicalità più lontane dalla chanson francese e più vicine al folk europeo, americano ed al pop. I testi sono più oscuri e lirici, con un profilo aspro e crudo.

Nel 1979, De André pubblica In concerto con la PFM. Il disco è stato registrato durante alcuni concerti eventi tenuti nel gennaio del 1979 insieme alla rock band milanese PFM che  riarrangiò  le canzoni del cantautore genovese. De André si interrogava spesso sull’assenza di nuove emozioni, così con PFM risolse il problema, ottenendo forte spinta verso il futuro. La tournée fu un’esperienza irripetibile. 

La sera del 27 agosto 1979, intorno alle 23, Dori e Fabrizio furono sequestrati e rimasero prigionieri dell’Anonima per quattro mesi. Vennero costretti a salire su un auto e, una volta scesi camminarono per ore, la destinazione fu raggiunta soltanto il giorno dopo. 117 giorni di prigionia, durante i quali vennero spostati in 3 diversi nascondigli sulla montagna. La drammatica esperienza non cancellò tuttavia l’amore di Fabrizio per la sua terra d’adozione, tant’è vero che non vi è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui rilasciate dopo la liberazione: “I rapitori – disse – erano gentilissimi, quasi materni… Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un po’ di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dire che non godeva certo della nostra situazione”.

La vicenda del sequestro ispirò la nuova produzione artistica del cantautore genovese, il quale riprese l’attività musicale nei mesi successivi alla liberazione. Al sequestro De André dedicò il brano Hotel Supramonte, incluso nell’album L’indiano pubblicato nel 1981. Questo disco ha come tema centrale il confronto tra il popolo sardo e quello dei pellerossa, per certi versi affini e per altri diversi, entrambi vittime della colonizzazione. Ma è anche un lavoro frutto del profondo effetto sortito dallo shock del rapimento.

Nel 1984 arriva un capolavoro: Creuza de ma. Il disco gli valse numerosi premi e riconoscimenti e venne presentato al pubblico nel corso di una memorabile tournée con il figlio Cristiano e con Mauro Pagani della PFM: evoca suoni, profumi, voci, odori e sapori di tutto il Mediterraneo, ma è soprattutto un canto d’amore alla sua Genova.

Nell’anno successivo Fabrizio viene toccato da un grande lutto: all’età di 72 anni muore suo padre Giuseppe. L’unica dichiarazione che De Andrè rilascia contiene tutto il dolore che un figlio può provare: “Il problema non è che gli volevo bene, perché questo non finisce. Il problema è che lui ne voleva a me”. 

Nel 1990, dopo sei anni di silenzio, uscì il nuovo album “Le Nuvole” sicuramente il disco più apertamente politico, di tutta la produzione del cantautore. Le Nuvole per De André sono quei personaggi ingombranti e incombenti nella nostra vita sociale, politica ed economica, sono tutti coloro che hanno terrore del nuovo perché il nuovo potrebbe sovvertire le loro posizioni di potere. Nella seconda parte dell’album si muove il popolo, che quelle Nuvole subisce senza dare peraltro nessun evidente segno di protesta. Questa distinzione tra potere e popolo viene evidenziata nella divisione linguistica dell’album: le canzoni del lato A sono quasi tutte in italiano, nei 4 brani del lato B c’è il popolo, e non a caso le canzoni sono in genovese, in napoletano e in gallurese, ma nessuna in italiano corrente.

Nel 1991, a distanza di sette anni dal suo ultimo tour, Fabrizio torna a calcare il palcoscenico con rinnovato successo,traendone l’LP dal vivo Fabrizio De André 1991 – Concerti. Nel 1992 Genova festeggia con una grande esposizione e lavori per svariati miliardi, i cinquecento anni dalla scoperta dell’America, vengono chiamati a partecipare molti artisti, De André venne invitato a esibirsi con Bob Dylan, ma Faber rifiuta il benché minimo coinvolgimento, ricordando anzi che i cinquecento anni erano dallo sterminio degli Indiani d’America.

È tempo di Anime salve 1996, scritto in collaborazione con Ivano Fossati. Il titolo dell’album trae il suo significato dall’origine, dall’etimologia delle due parole ‘anime’ e ‘salve’, per lui spiriti solitari. È dedicato a tutti quelli possono permettersi, e riescono, ad essere liberi e non condizionati dalla società. È considerato da molti il testamento artistico di Fabrizio De André, non solo musicale, ma anche spirituale. Attraverso i brani del disco il cantautore compie un viaggio nel mondo degli umili, dei reietti e dei dimenticati, figure che sono sempre state molto presenti nei suoi testi durante tutta la sua carriera. Il tema prevalente è la solitudine, in tutte le sue forme: quella della transessuale, dei Rom, dell’amante, del pescatore, anche quella positiva, scelta come condizione ideale.

Nell’estate del 1998 De André è in un tour, e durante le prove è a disagio, non riesce a sedersi e imbracciare la chitarra come vorrebbe, accusa un forte dolore al torace e alla schiena, non riesce a trovare pace. Getta via la chitarra, rifiuta di tenere il concerto e rimborsa i biglietti. Qualche giorno dopo viene sottoposto ad esami medici ad Aosta e, in spiegazione a quanto accaduto, gli viene diagnosticato un carcinoma polmonare. La tac, non lascia speranze. Interrompe definitivamente i concerti. Nonostante la malattia, continua a lavorare con il poeta e cantante Oliviero Malaspina al disco di Notturni, progetto che però non vede mai la luce.


Appena pochi mesi dopo, alle ore 2:15 di notte dell’11 gennaio 1999, l’anima di Fabrizio De André si spegne per sempre, il mondo perde il poeta degli sconfitti. Muore presso l’Istituto Tumori di Milano, dov’era ricoverato. Al capezzale del cantautore genovese ci sono tutti, dal figlio Cristiano alla moglie Dori Ghezzi. Cristiano gli stringe la mano fino all’ultimo respiro. Si spegne esattamente come fanno le stelle cadenti quando illuminano il cielo e sembrano esplodere, e poi… semplicemente, si spengono. In silenzio dopo aver regalato uno spettacolo. Il funerale coinvolge tutti. Partecipa una folla di oltre diecimila persone, tra cui estimatori, amici ed esponenti dello spettacolo, della politica e della cultura. Le ceneri di De André sono state disperse, per sua espressa volontà, al largo di Genova, nel Mar Ligure, nel suo mare. 

E noi vi abbiamo raccontato la sua storia, con le nostre parole e le emozioni che ci ha regalato, e potete riascoltarla insieme alle sue canzoni nel nostro podcast Il Principe Libero.

Fabrizio De André in una notte diversa per gente normale rimane lì: nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi passando per Via del Campo, o magari nella cella di Don Raffaè, probabilmente a trovare giustizia per Marinella e perché no, magari, anche a passeggiare con bocca di rosa, sicuramente più a fondo del fondo degli occhi, della notte e del pianto.  Sappiamo che rinuncerà alla sua ora di libertà pur di non respirare l’aria di un secondino, è sicuro che cominciò con la luna sul posto e finì con un fiume di inchiostro, per poi stendersi vicino a un pescatore, quello con un solco lungo il viso che per lui era un sorriso. 

Una cosa è certa: nella pietà che non cede al rancore, Fabrizio De André ha imparato l’amore. 

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Alberto Pani

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Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia