Bela Lugosi’s Dead: Nosferatu, Una Storia Di Sangue 

Sono rimasto legato a Nosferatu per la maggior parte della mia vita, da quando vidi una foto…

Sono rimasto legato a Nosferatu per la maggior parte della mia vita, da quando vidi una foto dell’ iconica ombra in un ormai vecchissimo Almanacco della Paura di Dylan Dog a inizio anni 90. Da lì in poi è sempre rimasta per me una sorta di ossessione, in certi periodi della vita manifesta in altri latente, e ancora oggi  sono avido di informazioni, di immagini, di dettagli sulla realizzazione di questo antico precursore del cinema horror esattamente come lo ero 30 anni fa. 

Per coloro che non fossero mai usciti dalla loro tomba negli ultimi 102 anni: Nosferatu, Eine Symphonie Des Grauens è una pellicola del 1922 diretta dal regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau, pietra miliare della corrente espressionista del cinema teutonico, liberamente tratta dal romanzo Dracula di Bram Stoker. Forse un po’ troppo liberamente, visto che la vedova di Stoker pretese la distruzione di ogni copia del film per mancato pagamento dei diritti d’autore nemmeno si trattasse del caso Metallica contro Napster, anche se fortunatamente da buon succhiasangue è riuscito a sopravvivere in qualche cripta e negli anni 60 ne è stata ritrovata una copia abbastanza integra da permetterne la definitiva resurrezione. 

Se nell’immaginario comune il Conte Dracula è un fascinoso rappresentante dell’alta aristocrazia borghese, figura derivata in realtà dal romanzo Il Vampiro di John Polidori e palesemente modellata sulle fattezze del di lui datore di lavoro Lord Byron, la versione comprata su Temu ribattezzata Orlok e protagonista del capolavoro germanico è invece un vero e proprio cadavere ambulante, dall’ incedere lento e ipnotico, con gli occhi perennemente strabuzzati, gli artigli da rapace, gli incisivi appuntiti come quelli di un ratto e già che ci siamo, perché no? portatore sano di peste nera.

Insomma, definirlo un bell’uomo forse è un’esagerazione, ma sicuramente ha il suo fascino, visto che in qualche modo questa figura di vampiro sgraziato, quasi deformato espressionisticamente ha segnato tutto l’ immaginario successivo e ciclicamente torna a galla: a parte l’altro capolavoro tedesco Nosferatu, Il Principe Della Notte di Werner Herzog datato 1979, è attesissima la nuova iterazione ad opera di quel geniaccio di Robert Eggers (sbav) e può vantare anche un omaggio metanarrativo come L’Ombra Del Vampiro di E. Elias Mehrige del 2000, dove vengono ricostruite le riprese della pellicola immaginando che al posto dell’ attore Max Schreck ci fosse un vero non-morto assunto da Murnau (una strappa-storia-lacrime basata su una leggenda metropolitana che è davvero circolata per decenni).

Dopo questa digressione degna del Prof. Guidobaldo Maria Riccardelli, veniamo all’argomento portante di questo mio scritto: Nosferatu, Una Storia di Sangue è un progetto ideato da Xabier Iriondo (chitarrista e anima sperimentale degli Afterhours), Karim Qqru (roccioso drummer degli Zen Circus) e Corrado Nuccini (polistrumentista e fondatore de I Giardini Di Mirò), che porta nei teatri italiani una versione musicata dal vivo in chiave rock dell’ opera di Murnau, e alla cui esecuzione ho avuto il piacere di assistere nella Sala Mercato del Teatro Moderno di Genova lo scorso 11 ottobre.  

Si spengono le luci e iniziano i titoli di testa, accompagnati da un inquietante e decisamente azzeccato sottofondo di synth a metà tra i Tangerine Dream ed Empty Spaces dei Pink Floyd, sul quale entrano in scena i tre musicisti. 
Lo spettacolo è impostato in modo da avere un differente mood sonoro ad ogni cambio scena, mantenendo una sorta di continuità per quel che riguarda il carattere dei personaggi e i rapporti tra loro. Per esempio, cori angelici e pad cristallini riempiono il teatro per descriverci l’amore puro tra i due novelli sposi Hutter ed Ellen, mentre il viscido agente immobiliare nonché servo del Conte, Knock, è caratterizzato da giri di basso e batteria insinuanti e ipnotici che ben si adattano alla sua natura malevola e all’ aspetto grottesco e deforme. Ad essere sincero, ho trovato alcune parti di raccordo un po’ dei riempitivi e scollate come mood rispetto alle immagini, ma nel complesso le composizioni funzionano e trovo anzi che la maggior parte di esse riesca ad enfatizzare egregiamente il senso di oppressione trasmesso dalla pellicola.  

Diventa difficile descrivere nel dettaglio ogni singolo passaggio, mi soffermerò quindi su alcuni di quelli che mi sono rimasti più impressi: per esempio il groove rock laid back di batteria e basso distorto che ci accompagna mentre Hutter scopre nella stanza della taverna il libro sui vampiri; quando poi l’ indomani gli zingari, dopo averlo accompagnato ai piedi della collina su cui sorge il castello del Conte, fuggono e arriva il cocchiere spettrale a prenderlo, il ritmo raddoppia e diventa una cavalcata coinvolgente alla Queens Of The Stone Age che sottolinea la velocità innaturale della carrozza.  

Altro momento interessante è quando Orlok sbarca dalla nave Empusa e porta la peste nella cittadina di Wisborg; la morte corre per le strade sotto forma di nugoli di ratti, e noi veniamo presi per mano dai tre musicisti che ci deliziano con un brano dall’ incedere quasi morriconiano, con una chitarra tagliente e malinconica come protagonista.  

Ma la mia parte preferita è sicuramente il finale: un organo minaccioso fa da sottofondo a Ellen che seduce telepaticamente Orlok e lo invita a entrare nella sua casa. Quando, dopo essere strisciato su dalle scale con le brutte intenzioni e la maleducazione, l’ombra del vampiro stringe il cuore della giovane in una morsa, il rullante della batteria fa balzare in gola il cuore dello spettatore. Siamo alle battute finali, suoni distorti di chitarre e synth permeano l’ aria della sala mentre Orlok, ingannato dal sacrificio della giovane, viene disintegrato dalla luce del sole.  

Insomma, uno spettacolo coinvolgente ed emozionante con poche sbavature e tanti momenti di notevole spessore artistico: a quando l’uscita della soundtrack ufficiale? 

Alberto Pani

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Alberto Pani

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Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia