la malinconia sorridente di brunori che alleggerisce il cuore
In questa era cosi smaterializzata dove tutto ha perso consistenza, anche nella musica, l’ultimo baluardo di realtà…
In questa era cosi smaterializzata dove tutto ha perso consistenza, anche nella musica, l’ultimo baluardo di realtà e condivisione a cui aggrapparsi, restano i concerti.
Quei riti collettivi, dove finalmente ci si può guardare, toccare, cantare a squarciagola (maledire chi è alto e si mette davanti!), diventare tutti amici per un paio di ore, perché uniti dall’amore per la musica.
L’Unipol Arena di Bologna Venerdi 28 marzo, era gremita di gente (ben 15.000 persone), un sold out come molte altre date di questo tour 2025, per il nostro Darione nazionale, che sorridente come non mai, ci ha accolti con un “Pugile” in acustico, a luci ancora accese, prima di far salire tutta la band sul palco.
Band composta da ben otto elementi : basso, batteria, tastiere, sax, trombone, flauto traverso, mandola, sintetizzatore e cori che riempiono con un suono a tutto tondo il palazzetto.
Il concerto vero e proprio si apre con “il morso di Tyson”, il secondo singolo e primo video del nuovo album “L’albero delle noci”, dove si rappresenta quella rabbia feroce, mischiata al dolore del dirsi addio, il doversi salutare sui binari di un treno sul quale, forse, non saliremo mai più, però… “menomale che ci siamo voluti bene”.
C’è sempre un velo di speranza nella scanzonata malinconia di Brunori, quella che nonostante il dolore, ti fa riflettere sul bello che c’è stato, e che alla fine ti porti dentro come un regalo che resterà sempre tuo.
La semplicità e la spontaneità di parlare della fragilità dei sentimenti, di non vergognarsi di scrivere d’amore e dei suoi fallimenti…
“perché alla fine dai di che altro vuoi parlare
che se ti guardi intorno non c’è molto da cantare
solamente una tristezza che è difficile toccare
perciò sarò superficiale
ma in mezzo a questo dolore
in tutto questo rumore
io canto un mondo che non c’è”
Prosegue con “La ghigliottina”, primo singolo estratto, la lama affilata dello straparlare da social che condanna tutti, chi per la banalità di pensiero e chi per l’eccesso di spirito critico, un patibolo sul quale siamo, potenzialmente, tutti esposti.
Con “L’uomo nero” si raggiunge forse il punto più scuro della scaletta, seguito da “La vita come è ” disillusione allo stato puro, risalendo poi a chiederci tutti “Come stai”, di sicuro più forti potendo indossare un “Costume da torero” sperando di salvare il mondo con un pugno di poesie.
Perché si, la realtà sarà pure una merda, ma non finisce qua!
E soprattutto che se la si vuole cambiare, bisogna partire , in primis, da se stessi.
Il concerto è scandito da piccole gag autoironiche dove il ns Darione si paracula, chiaramente, come una sorta di dittatore che detta le leggi della buona musica, giocando a carte con la superbia, tanto esegerata da diventare esilarante.
E poi la sua “calabresità” che porta come stendardo di peculiarità e ostinazione, come una terra dura e meravigliosa allo stesso tempo, che non riesci -ma soprattutto che non vuoi – toglierti di dosso, anche se giri i palchi di tutta Italia da anni, ma che ti resta appiccicata come le consonanti aspirate, per tutta la vita.
Calabresità, di cui in questo album ci omaggia, con un pezzo meravigliosamente struggente, in dialetto : “Fin’ ara luna” una dolcissima preghiera per potersi ricongiungere alla propria amata che non c’è più.
La provenienza come qualcosa di cui andare sempre e solo fieri, anche quella musicale, che Dario con un assolo di “Master of puppets” dei Metallica, ci ribadisce quale sia e soprattutto che non va mai dimenticata!
Ma la prima vera “botta” del concerto arriva con “Per due che come noi”, quando il palazzetto prende vita in un coro unico, ci ritroviamo tutti eterni romantici che vogliono continuare a cantare l’esistenza e la resistenza del vero amore, quello che dopo 20 anni continua a farti ancora dire di si …andiamoooo…. partiamoooo!!!
E chi non vorrebbe essere sempre preso per mano da una persona amata per attraversare la vita in continue partenze e ritorni!?
Cose semplici, forse banali, ma che alla fine sono quelle che ci salvano la vita, cosi come cantare a squarciagola con il cuore che ti sorride!
Come quando si canta tutti insieme appassionatamente, il primo vero manifesto brunoriano -“Guardia 82”- con i cellulari accesi ad illuminare il mondo, e la voglia bambina di dare un calcio a quel pallone e di costruire il miglior castello di sabbia che si sia mai visto, anche per fare colpo su di lei.
Dalla nostalgia dell’infanzia, alla paura della solitudine e di essere davvero se stessi, quella che forse due grandi icone come Marilyn e Kurt Cobain ci possono spiegare, seduti al pianoforte con le loro vite cosi fragili , eppure cosi incorruttibili al tempo, grazie al loro infinito riverbero.
La vita di grandi personaggi, come quella della gente più comune, tutti a farsi domande simili, ed a cercare di trovare risposte comode, perché la verità spesso è una sola…
“La verità
È che ti fa paura
L’idea di scomparire
L’idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire
La verità
È che non vuoi cambiare
Che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose
A cui non credi neanche più”
La musica ed i concerti, restano invece una di quelle cose a cui non sappiamo rinunciare, ma a cui soprattutto, non smettiamo mai di credere.
Grazie ai Brunori sas per questi 23 pezzi, cosi pieni, sentiti, profondi ed al tempo stesso cosi liberatori e leggeri, perché poi, come diceva quel famoso Italo: “ la leggerezza non è superficialità, ma è planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore” e se per un paio di ore siamo riusciti a stare tutti con il cuore più leggero, bè, non è cosa da poco.
Grazie Dario!
Silvia Botte